FREE FALL JAZZ

William Parker's Articles

Con il concerto di Enrico Pieranunzi e la Brussels Jazz Orchestra si è conclusa domenica scorsa l’edizione 2017 del Bergamo Jazz Festival, caratterizzata da un riscontro di pubblico ormai divenuto abituale, con un volano comunicativo sulla città reso intelligentemente più esteso e coinvolgente rispetto alle precedenti edizioni, ma che ha anche evidenziato, in estrema sintesi, esiti artistici e musicali vistosamente diseguali, specie nei concerti svoltisi nella sede tradizionale del Teatro Donizetti. (Continua a leggere)

30 eventi, oltre 100 artisti coinvolti: dal 19 al 26 marzo torna Bergamo Jazz, prestigioso evento musicale per la seconda volta affidato alla Direzione Artistica del musicista americano Dave Douglas, ad ulteriore testimonianza del respiro internazionale che da sempre è nel DNA del Festival. Internazionale, di conseguenza, e con una significativa presenza femminile, il cast allestito dal celebre trombettista newyorkese, la cui simpatia ha letteralmente conquistato lo scorso anno il pubblico accorso da ogni parte d’Italia e anche dall’estero per salutarne l’entrata nella squadra di Bergamo Jazz. (Continua a leggere)

E’ ormai divenuta una tradizione la presentazione dello storico festival bergamasco alla vigilia delle feste natalizie, avvenuta giusto sabato scorso e che ha visto la presenza in sala di musicisti, associazioni culturali, critica e giornalismo di settore nazionale e provinciale in ascolto della direzione artistica, dell’assessore alla cultura del Comune di Bergamo, del responsabile del servizio gestione Teatri Comunali e del responsabile Ufficio Stampa. (Continua a leggere)

Nella sua lunghissima carriera, Cecil Taylor ha diretto formazioni di tutti i tipi, dal piano solo all’orchestra. Sempre sotto il segno radicale dell’iconoclastia, a volta fin troppo calcata quando non fine a sè stessa, in ogni caso mai banale. ‘Winged Serpent’ vede Taylor alla guida della Orchestra Of Two Continents, ovvero undici elementi proveniente da entrambi i lati dell’Atlantico. Troviamo gli americani Jimmy Lyons (contralto), Frank Wright (tenore), Karen Borca (fagotto), William Parker (contrabbasso), Andre Martined e Rashied Bakr (batteria), e gli europei John Tchicai (tenore), Enrico Rava e Tomas Stànko (tromba), e Gunter Hampel (baritono e clarone). Una simile bocca di fuoco viene utilizzata in ricche tessiture di fiati ed estatici crescendo che culminano in improvvisazioni collettive, spesso e volentieri caotiche, stridenti, ancorate a terra da ostinati di basso o dalla pulsazione suggerita da un pianoforte invasivo e martellante. (Continua a leggere)

I più attenti ricorderanno che William Parker, assieme ad altri ospiti, ha già suonato con gli Udu Calls (alias il fiatista Daniele Cavallanti e il batterista Tiziano Tononi) in occasione di ‘Spirits Up Above’ del 2006. ‘The Vancouver Tapes’, che vede coinvolti solo i due musicisti nostrani e il bassista della Grande Mela, non rappresenta però il passo successivo a quella collaborazione, bensì una sorta di prequel. Le registrazioni risalgono infatti al Vancouver Jazz Festival del 1999, frutto di un DAT inaspettatamente ritrovato da Tononi. La qualità audio è, prevedibilmente, abbastanza cruda (ma comunque più che sufficiente), fattore che se da una parte potrebbe scoraggiare certi puristi del suono, dall’altra riesce a rendere bene l’idea dell’impatto e della “ruvidità” che il trio ha sprigionato sul palco quel giorno di Giugno di ormai quasi sedici anni fa. (Continua a leggere)

Dopo un album eclettico come ‘Moments’, uscito in sordina nel 2010, il giovane sassofonista James Brandon Lewis inaugura il suo contratto con la rinata Okeh (avete letto bene) con ‘Divine Travels’, un nuovo lp nel classico formato sax-basso-batteria. Gli esempi illustri in tal caso si sprecano, e certo confrontarsi coi nomi di Sonny Rollins, Joe Henderson, Branford Marsalis o Joe Lovano, per esempio, non è la cosa più facile del mondo. Tuttavia James può contare su una sezione ritmica strepitosa formata da due suoi mentori, ovvero William Parker (contrabbasso) e Gerald Cleaver (batteria); affermare che a questo punto il disco si fa da solo è ingeneroso e scorretto, ma allo stesso tempo la chimica speciale fra i tre si sente. (Continua a leggere)

William Parker pubblica dischi a getto continuo, al punto che a volte si finisce per perderne qualcuno per la strada. Vista la qualità mediamente alta della sua opera è certamente un peccato, ma lo è ancora di più quando il contrabbassista newyorkese devia dai suoi binari abituali e apre un nuovo capitolo, facendo per di più centro completo. L’intento di ‘Uncle Joe’s Spirit House’ è quello di celebrare la vita di zio Joe e zia Carrie, che con il duro lavoro e la generosità furono di grande ispirazione al piccolo William; per farlo, ecco un gran bel disco di puro soul jazz, quello che fioriva negli anni della gioventù degli amati zii. Sono della partita tre fidi comprimari come il tenore Darryl Foster, l’organista (in questo caso) Cooper-Moore e il batterista Gerald Cleaver, alle prese con nove brani originali scritti dal leader. (Continua a leggere)

Quando un navigato Curtis Mayfield cominciava la sua carriera da solista all’inizio degli anni ’70, dopo un quindicennio speso come compositore, arrangiatore e leader degli Impressions, William Parker era un ragazzone di diciotto anni che muoveva i primi passi nell’underground newyorkese. Cosa lega una leggenda della soul music con un musicista jazz, si chiederà qualcuno? In primis il concetto di continuum della musica nera, ma non solo. La produzione di Mayfield era fortemente caratterizzata in senso politico e sociale, in parallelo al suo attivismo. William Parker, da sempre interessato a quelle stesse tematiche (razza, società, integrazione e progresso), sceglie di rileggere una serie di classici di Mayfield in chiave jazz servendosi di un ampio organico che, oltre alla classica strumentazione, prevede due cori, uno di bambini e uno gospel, e le voci del sempre vigoroso Amiri Baraka e della bravissima Leena Conquest. Dopo diversi tour (2001, 2002, 2007, 2008) esce finalmente un disco, registrato rigorosamente dal vivo. (Continua a leggere)

“L’idea è di fare un secondo album entro la fine del 2012, dovrebbe essere una registrazione dal vivo”: David S. Ware ce lo aveva anticipato nella nostra intervista dello scorso Gennaio. Quel che non sapevamo, è che la registrazione live era già “in cassaforte”, ossia l’incendiaria partecipazione del quartetto Planetary Unknown al Saalfelden del 2011, che vede appunto oggi la luce in versione integrale grazie alla solita AUM Fidelity. Ai più attenti in realtà non suonerà tutto completamente nuovo: lo scorso 27 Marzo parte del concerto (nello specifico i 33 minuti della traccia d’apertura, ‘Precessional 1’) è stata infatti trasmessa dalla nostra Radio 3. Rispetto a quel cospicuo assaggio, la versione su CD si arricchisce di due ulteriori tracce (stesso titolo della prima, ma numerate progressivamente) che alzano la durata complessiva a circa 65 minuti.

I tre movimenti di cui si compone il lavoro seguono la scia dell’ottimo ‘Planetary Unknown’ di dodici mesi fa, continuando a sfruttare lo stesso approccio basato sull’improvvisazione (cosa relativamente insolita per Ware, quasi sempre rimasto fedele alla scrittura). La citata ‘Precessional 1’ è forse anche quella più indicativa della loro marca di free jazz: parte in quarta e per quindici minuti procede a rotta di collo, senza un attimo di tregua. (Continua a leggere)