FREE FALL JAZZ

sax's Articles

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Questa è la versione originaria debitamente corretta e modificata del saggio pubblicato nell’ottobre 2015 su Musica Jazz e intitolato “Two For The Road“. Ho cercato di tener conto del feedback relativo alle opportune correzioni e modifiche al testo effettuate sulla bozza in sede di redazione dalla rivista, di cui ringrazio il direttore Luca Conti. (Continua a leggere)

Dopo l’acclamazione quasi unanime dei due full-length usciti a nome Fire! Orchestra, il sassofonista norvegese Mats Gustafsson rispolvera la sigla Fire! per esibirsi nuovamente nel più ristretto e tradizionale formato del trio, accompagnato da Johan Berthling (basso) e Andreas Werliin (batteria). Pubblicato a tre anni dall’ultimo ‘Without Noticing’, ‘She Sleeps, She Sleeps’, come sempre edito dalla sua Rune Grammofon, ne rivela però crudelmente la disarmante debolezza e incompetenza nell’ambito strettamente jazzistico. A ben vedere, da sempre gli episodi più notevoli della sua discografia (non ultimi i dischi per la Fire! Orchestra) hanno più a che vedere con l’iconoclastia e con lo scardinamento della tradizione, perpetrato per mezzo di arditi crossover stilistici con rock, psichedelia, noise e musica sperimentale di sorta, piuttosto che con un’effettiva padronanza del linguaggio jazz in sé e per sé. (Continua a leggere)

Torniamo a James Brandon Lewis, sebbene sia passato poco dall’ultimo Picture This su di lui. Questo concerto è avvenuto solo due settimane fa nel corso del festival Not A Police State Justice Is Compassion, espressione nel più ampio movimento Black Lives Matter e in corso per quasi tutto il mese di gennaio nel centro Arts For Art di New York. Qui potete leggere tutti gli eventi musicali, per curiosità o se per fortuna vi trovaste lì in questo periodo. Nel frattempo, il concerto conferma quanto il buon James meriti appieno il suo momento d’oro.


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Il contraltista William “Sonny” Criss è uno dei tanti esempi di sottostima, financo di ingiusto oblio, di cui è zeppo il racconto della storia del jazz. Le ragioni nel suo caso sono diverse e sovrapponibili. Tra quelle citabili, una, abbastanza comune ad altri, è legata alla modalità con la quale si racconta solitamente la storia di questa affascinante, e per certi versi ancora misteriosa, musica, ossia una sorta di epica intensa, fatta da una rapida sequenza cronologica di singoli geni, protagonisti di svolte o sedicenti “rivoluzioni” epocali, piuttosto che da una articolata sovrapposizione di interscambi e contributi, chi maggiori chi minori, che si sono intrecciati tra loro (non si dimentichi la tradizione fondamentalmente orale della cultura africana- americana), componendo come un puzzle il quadro generale. (Continua a leggere)

La storia del sax tenore è sostanzialmente raccontata per sommi capi su figure innovatrici di etnia afro-americana. Tuttavia vi è stata una serie di sassofonisti negli anni ’50 di eccezionale valore oggi quasi dimenticati, forse con l’eccezione di Stan Getz. Andrebbe ad esempio rivisitato l’apporto di diversi improvvisatori bianchi, come Allen Eager, Brew Moore, Zoot Sims, Al Cohn, Bill Holman, Richie Kamuca, Bill Perkins, Dave Pell, Jack Montrose e Don Menza. Tra questi segnalo Bob Cooper, un sassofonista della West Coast che mi è sempre piaciuto molto e che qui si esibisce in una sorta di concerto per sax tenore e orchestra per conto della band di Stan Kenton. Musica di livello che certamente non merita l’oblio.
(Riccardo Facchi)


Di Dayna Stephens abbiamo parlato più volte, essendo uno dei più interessanti sassofonisti sulla piazza, e contavamo di farlo nuovamente a breve, vista l’uscita di un nuovo disco su Criss Cross assieme al collega Walter Smith III. (Continua a leggere)

L’Italia è un ben strano paese, lo sappiamo, e l’ambiente intorno al jazz non si sottrae a certe conclamate stranezze, considerata la capacità che ha di esaltare autarchicamente uno sparuto gruppo di figure nazionali, peraltro di incerta consistenza jazzistica, iterandone l’esposizione mediatica e concertistica sino alla nausea, trattando la relativa musica alla stregua di un detersivo da vendere alle “massaie del jazz”, alla ricerca del grande “ital-jazz che più ital-jazz non si può”. Di contro, si gettano invece nell’oblio jazzisti di livello eccelso presenti oggi sulla scena, che non vengono nemmeno presi in considerazione, forse perché proponenti musica considerata pregiudizialmente “vecchia”, appartenente al passato. (Continua a leggere)

La stagione 2014-2015 di Aperitivo in concerto, che era stata inaugurata il 19 Ottobre con il concerto di Jaques Morelenbaum Cello Samba Trio, è proseguita in questa domenica novembrina con l’atteso concerto del settantaseienne sassofonista Charles Lloyd, in prima e unica data italiana, con una formazione  a dir poco stimolante e la presentazione di una lunga e variegata suite intitolata “Wild Man Dance Suite”, che ha visto la presenza di alcuni tra i più interessanti giovani musicisti sulla scena jazzistica contemporanea. (Continua a leggere)

Dayna Stephens è uno dei più stimati sassofonisti della nuova generazione. Merito di un bellissimo suono “middleweight” che riecheggia tanto i musicisti pre-bop quanto Hank Mobley, e di uno stile compositivo cerebrale e stimolante che tuttavia non è mai inutilmente complesso o freddo. Anzi, temi, sviluppi e improvvisazioni hanno sempre una vena melodica molto felice e riescono a stimolare la curiosità dell’ascoltatore senza mai intimidirlo o, peggio, annoiarlo. Queste caratteristiche ne hanno fatto, giustamente, un musicista molto richiesto nel panorama contemporaneo. Nel 2013 Dayna ha pubblicato ben due album, ‘I’ll Take My Chances’ (CrissCross) e ‘That Nepenthetic Space’ (Sunnyside) che andiamo subito ad analizzare in questo piccolo speciale.

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