Questo articolo dedicato alla diffusissima influenza sul jazz dei ritmi latini (con sostanziale esclusione della componente brasiliana che meriterebbe per l’importanza indubbia un saggio a sé), e in particolare di quella afro-cubana, è la revisione e l’ampliamento di quello già comparso un paio di anni fa sulle colonne del portale Tracce di Jazz. Sono stati aggiunti alcuni protagonisti di cui mi ero completamente scordato (sono sicuro che ne mancherà ancora qualcuno) e che andavano come minimo citati. Inoltre in coda all’articolo ho ampliato il discorso sul “ramo cubano” cercando di dare un minimo di ricostruzione storica circa i protagonisti della musica cubana anche ben prima della fusione col jazz. Anche in questo caso, come per il saggio dedicato a Stevie Wonder, si tratta in realtà di un work in progress che prelude ad altri possibili futuri ampliamenti. L’aggiunta di molti link musicali permette, per chi lo volesse, di associare l’ascolto alla lettura. Per favorire quest’ultima si è pensato di dividere il lungo scritto in due parti, di cui la seconda verrà pubblicata a seguire.
R.F.
Il jazz è una musica che nel suo percorso si è in qualche modo “globalizzata”, mostrando una peculiare capacità di espandersi, fagocitando ed elaborando materiali musicali dalle più varie provenienze, modificandosi progressivamente anche in funzione del luogo geografico in cui si è venuto a sviluppare, inglobando, almeno in parte, le relative tradizioni culturali, caratterizzandosi quindi per una interessante forma di sincretismo musicale.
La storia del sax tenore è sostanzialmente raccontata per sommi capi su figure innovatrici di etnia afro-americana. Tuttavia vi è stata una serie di sassofonisti negli anni ’50 di eccezionale valore oggi quasi dimenticati, forse con l’eccezione di Stan Getz. Andrebbe ad esempio rivisitato l’apporto di diversi improvvisatori bianchi, come Allen Eager, Brew Moore, Zoot Sims, Al Cohn, Bill Holman, Richie Kamuca, Bill Perkins, Dave Pell, Jack Montrose e Don Menza. Tra questi segnalo Bob Cooper, un sassofonista della West Coast che mi è sempre piaciuto molto e che qui si esibisce in una sorta di concerto per sax tenore e orchestra per conto della band di Stan Kenton. Musica di livello che certamente non merita l’oblio.
(Riccardo Facchi)