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Otto tracce, tutte inedite, costituiscono Magip, l’ultima fatica di Gilberto Mazzotti e del suo quartetto GB project. L’ascoltatore percepisce subito un suono ben definto, chiaramente scelto come cifra di tutta l’opera. Un suono urbano, moderno, ottimamente impastato dove la sezione ritmica crea una sonorità accattivante. I metri irregolari e le poliritmie che si creano, generano un susseguirsi di momenti, estemporanei e non, che guidano e sostengono le melodie di ampio respiro. Si perché l’atteggiamento compositivo che contraddistingue tutti i brani è proprio la fusione tra scelte ritmiche elaborate, ricercate e armonie e temi, sia essi scritti o improvvisati, di ampio respiro. Il pianoforte di Mazzotti, nei momenti solistici, è sempre misurato e mai eccessivo, pure nelle parti in cui il sax tace, il trio è inteso come un’unica entità, come un solo motore ritmico melodico. (Continua a leggere)

918lUzB+ODL._SY355_Che Keith Jarrett abbia da tempo imboccato il viale del tramonto artistico pare non essere più nemmeno un’opinione. Lo dimostra il fatto che l’ECM, la casa discografica che Jarrett stesso ha contribuito a lanciare ormai quasi mezzo secolo fa, rovista tra i molti nastri registrati in suo possesso relativi a concerti dei decenni precedenti, ricchi di grandi prestazioni sue, o delle formazioni con le quali si è esibito nel corso della sua carriera. Questo lavoro appena pubblicato dello Standard Trio, la formazione che con il quartetto americano rappresenta forse il contributo più importante dato da Jarrett al jazz, risale addirittura a vent’anni fa, ossia al 1998, e ha una sua valenza storica al di là dell’eccellente musica contenuta, in quanto rappresenta una delle sue prime esibizioni pubbliche dopo la grave malattia psico-fisica che lo aveva colpito alla fine del 1996, costringendolo ad un momentaneo ritiro dalle scene. (Continua a leggere)

Su Hugh Hefner (1926 – 2017), in questi giorni, si è letto moltissimo. Il fondatore di Playboy ha giocato un ruolo non da poco nel panorama culturale degli ultimi 60 anni e passa. Sarebbe facile liquidarlo come “quello di Playboy”, magari con un certo disprezzo, ma la realtà al solito è più complicata. (Continua a leggere)

52246833Con questo Tipico, già decimo album da leader, il sassofonista Miguel Zenón si conferma uno dei musicisti e compositori più interessanti sulla scena contemporanea del jazz. Una scena che presenta ormai commistioni linguistiche talmente varie e vaste da doverle considerare prassi in un processo ormai inarrestabile in ambito di musiche improvvisate, jazz compreso. Eppure, è curioso dover constatare come una delle “contaminazioni” più longeve e diffuse nel jazz, quella con le musiche latine e caraibiche, sia da noi per lo più trascurata. E’ pur vero che in questo specifico caso Zenón ha prodotto un disco molto meno incentrato su questo aspetto rispetto a lavori precedenti, ma nella musica emerge comunque un modo di procedere ormai ben consolidato dall’altosassofonista in anni di sperimentazioni personali e di affiatata condivisione con gli altri membri di una formazione che è attiva da circa quindici anni su quel genere di progetti. (Continua a leggere)

Il 2017 è appena nato ed esce, pubblicato dalla JandoMusic/ViaVenetoJazz, “A beautiful Story”, ultima fatica di Rosario Bonaccorso che, con il suo quartetto (D.Rubino, E.Zanisi e A. Paternesi), ci offre 12 sue inedite composizioni. Atmosfere delicate, sonorità dolci, sono il leit motiv di quest’opera che presenta, da subito, peculiarità e scelte stilistiche molto precise. I temi sono molto semplici, a volte leggeri e sovente malinconici, hanno il ruolo di colorare timbricamente momenti in cui il quartetto è pensato come un’orchestra novecentesca. Ricorrono, in tutto il CD, espedienti motivici poco sviluppati, ma funzionali alla resa sonora collettiva. Quest’attitudine condiziona anche gli assoli che sviluppano poco l’aspetto ritmico/melodico per rimanere ancorati alla visione d’insieme. C’è un netto rifiuto del virtuosismo in favore di un’essenzialità, sia in fase compositiva che nella prassi. (Continua a leggere)

30 eventi, oltre 100 artisti coinvolti: dal 19 al 26 marzo torna Bergamo Jazz, prestigioso evento musicale per la seconda volta affidato alla Direzione Artistica del musicista americano Dave Douglas, ad ulteriore testimonianza del respiro internazionale che da sempre è nel DNA del Festival. Internazionale, di conseguenza, e con una significativa presenza femminile, il cast allestito dal celebre trombettista newyorkese, la cui simpatia ha letteralmente conquistato lo scorso anno il pubblico accorso da ogni parte d’Italia e anche dall’estero per salutarne l’entrata nella squadra di Bergamo Jazz. (Continua a leggere)

Se ricordate, abbiamo parlato di Darryl Yokley in occasione della recensione del suo album di debutto e di una relativa intervista, un po’ di tempo fa. Darryl ci disse che aveva già scritto buona parte del secondo album, una specie di sinfonia jazz dove ogni pezzo è ispirato ad un quadro, ospiti Nasheet Waits ed un ensemble di fiati. Bene, oggi l’album è pronto. Si chiama ‘Pictures At An African Exhibition’ e Darryl chiede aiuto per le fasi di mastering, mixaggio, stampa etc. (Continua a leggere)

A poche settimane dalla conclusione della stagione dei 70 anni, il Centro d’Arte propone per il nuovo anno una rassegna che ne riprende la formula e l’indirizzo, premiata da un successo di pubblico entusiasmante: per il 2017 il cartellone, sempre ricco di novità, offre occasioni di ascolto che sfidano i generi e le etichette, undici serate di musica che illustrano i molteplici linguaggi della contemporaneità, dal jazz alla composizione, dall’improvvisazione sperimentale alla ricerca elettroacustica. (Continua a leggere)

Il linguaggio musicale possiede caratteristiche tali da renderlo particolarmente adatto ed efficace ad affrontare una molteplicità di temi e sentimenti umani, utilizzando modalità espressive estremamente variegate. Il jazz ha sin dalle sua fondamenta potuto godere di un così vasto intreccio di contributi, tale da permettere al musicista di turno di affrontare certi temi con una flessibilità e trasversalità di culture e di discipline artistiche difficilmente riscontrabili in altri ambiti. (Continua a leggere)

Questo scritto è stato pubblicato su Musica Jazz di febbraio dello scorso anno e qui presentato, come già in altre occasioni analoghe, nella sua forma originaria, completo ove possibile di link musicali e riferimenti discografici inseriti nel testo. Ringraziamo il direttore di Musica Jazz Luca Conti per l’assenso informale alla pubblicazione.

Buona lettura

R.F.

Siamo in un periodo storico nel quale spesso si parla, a volte anche abusandone, di “contaminazioni”, per sottolineare una tendenza attuale del jazz e delle musiche improvvisate più in generale, alla fusione di una molteplicità di linguaggi musicali, anche geograficamente distanti e profondamente diversi tra loro. Pensando però bene al significato del termine, ci si rende conto che esso viene utilizzato ad esempio nelle scienze naturali per indicare la presenza di un agente inquinante verso un supposta “purezza” ambientale. Applicarlo ad un linguaggio musicale, e nel caso specifico al contesto jazzistico, può essere quanto meno contraddittorio, poiché il jazz, per sua natura e per sua stessa genesi, è una forma musicale intrinsecamente “spuria”, la cui forza propulsiva e innovatrice si è sempre manifestata proprio dall’incontro non artificioso tra etnie e relative culture musicali. (Continua a leggere)