FREE FALL JAZZ

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52246833Con questo Tipico, già decimo album da leader, il sassofonista Miguel Zenón si conferma uno dei musicisti e compositori più interessanti sulla scena contemporanea del jazz. Una scena che presenta ormai commistioni linguistiche talmente varie e vaste da doverle considerare prassi in un processo ormai inarrestabile in ambito di musiche improvvisate, jazz compreso. Eppure, è curioso dover constatare come una delle “contaminazioni” più longeve e diffuse nel jazz, quella con le musiche latine e caraibiche, sia da noi per lo più trascurata. E’ pur vero che in questo specifico caso Zenón ha prodotto un disco molto meno incentrato su questo aspetto rispetto a lavori precedenti, ma nella musica emerge comunque un modo di procedere ormai ben consolidato dall’altosassofonista in anni di sperimentazioni personali e di affiatata condivisione con gli altri membri di una formazione che è attiva da circa quindici anni su quel genere di progetti. (Continua a leggere)

Della calata italiana di Tom Harrell ha già raccontato con dovizia di particolari l’amico Negrodeath, che ha presenziato alla data di La Spezia. Mi sarebbe piaciuto completare il discorso riferendovi anche della sua partecipazione venerdì scorso a Pomigliano Jazz (che da quest’anno torna in Luglio come ai vecchi tempi), ma purtroppo, per motivi che un po’ ci imbarazza raccontare, non eravamo presenti. Sorvoliamo. C’eravamo però il giorno dopo, quando la serata è stata aperta dalla sorpresa Tricatiempo, quintetto campano che in un’ora fittissima di concerto incuriosisce e convince. (Continua a leggere)

L’opera del DJ Amir Abdullah è encomiabile: da vero appassionato si è assicurato i diritti sul catalogo della Strata Records, label di culto fondata negli anni ’70 a Detroit da Kenny Cox e durata solo una manciata dischi, riesumando il marchio e ristampandone il materiale. Materiale su cui peraltro si è fantasticato per anni: molti dischi pubblicizzati come “in uscita” sul retro di quelle copertine in realtà poi non hanno fatto in tempo ad arrivare nei negozi, e il bello è che Abdullah, grazie alla disponibilissima vedova di Cox, è in possesso anche dei master inediti, che pure saranno oggetto di riesumazione.

Primo tra di essi è ‘Mirror Mirror’ dell’altosassofonista Sam Sanders, uno che a livello locale era una piccola istituzione, con migliaia di concerti macinati sui palchi della “motor city”, esperienze al fianco di leggende come Sonny Stitt, Rashaan Roland Kirk e Milt Jackson, ma anche session man con Stevie Wonder. (Continua a leggere)

Sul pur ottimo ‘Coin Coin Part One’ avevamo espresso qualche perplessità, soprattutto per una sintesi a tratti trascurata in favore dell’integrità dell’ambizioso concept, presentato peraltro come opera in ben dodici atti (che, lavorando di accetta, possiamo riassumere come incentrata sulla schiavitù e la condizione afroamericana nell’anteguerra, argomento che l’autrice approfondisce con tanto di ricerche nel proprio albero genealogico). Per il secondo volume l’altosassofonista di Chicago decide di cambiare le carte in tavola quasi a tutti i livelli, dimostrando ancora una volta di non amare le ripetizioni. Non si tratta di un mutamento di rotta fine a sé stesso: le frecce al proprio arco sono tante e le idee sono abbastanza fresche da giustificare la sterzata. (Continua a leggere)

Vent’anni fa, tra il 23 e il 24 Giugno del 1993, si spegneva a soli 36 anni l’altosassofonista capitolino Massimo Urbani. Nonostante il comprovato talento, in vita aveva raccolto meno del dovuto, e anche nei primi anni successivi alla sua scomparsa sembrava destinato a rimanere culto per pochi eletti. Un prestigioso premio per giovani jazzisti venne istituito in suo nome nel 1996, e fu il primo passo di una progressiva riscoperta della sua figura, spesso mitizzata e accostata con leggerezza a quella di Charlie Parker. Di certo l’influenza di quest’ultimo è stata importantissima per la musica di Urbani, che per giunta, proprio come Parker, se n’è andato giovanissimo dopo qualche eccesso di troppo, ma, tolto ciò, parliamo di altri posti, altre epoche, altro tutto. Ben venga comunque questa sorta di “mitizzazione” se può rivelarsi utile al recupero della musica vera e propria: meglio tardi che mai verrebbe da dire. (Continua a leggere)