FREE FALL JAZZ

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Della calata italiana di Tom Harrell ha già raccontato con dovizia di particolari l’amico Negrodeath, che ha presenziato alla data di La Spezia. Mi sarebbe piaciuto completare il discorso riferendovi anche della sua partecipazione venerdì scorso a Pomigliano Jazz (che da quest’anno torna in Luglio come ai vecchi tempi), ma purtroppo, per motivi che un po’ ci imbarazza raccontare, non eravamo presenti. Sorvoliamo. C’eravamo però il giorno dopo, quando la serata è stata aperta dalla sorpresa Tricatiempo, quintetto campano che in un’ora fittissima di concerto incuriosisce e convince. (Continua a leggere)

Il merito principale dei Bad Uok, quartetto di base a Bologna, è la codifica di un linguaggio personalissimo, e la cosa non è affatto scontata, sia perché ‘Enter’ è il loro esordio assoluto, sia per l’età relativamente giovane dei musicisti (tutti under 30). La ricerca di un’impronta riconoscibile parte sin dalla configurazione della line-up, che decide di fare a meno del basso: nonostante ciò, ‘Enter’ è un disco in cui la ritmica e le basse frequenze giocano una parte importantissima, forse proprio perché il suddetto risultato viene cercato rimpiazzando il ruolo delle quattro corde con strumenti dal tono altrettanto “oscuro” come il trombone (suonato da Federico Pierantoni), il Fender Rhodes (a cura del pianista Andrea Calì), finanche, in alcuni episodi, la chitarra baritona di Leonardo Rizzi.

Per convenienza potremmo definirli avant-jazz: quello dei Bad Uok è un melting pot stilistico in cui convivono passaggi ambient e momenti intimisti (l’intro pianistica che apre il disco, formula ripresa anche nella conclusiva title-track), scorie elettroniche, free jazz e improvvisazione pura, ma anche intricate ritmiche di stampo math rock (che non sfociano mai nel jazzcore vero e proprio) e atmosfere “cinematiche” (Continua a leggere)

Il primo pensiero corre a Walter Bonacina, storico, infaticabile ex terzino/mediano/tuttofare dell’Atalanta che Wikipedia chiama “Valter”, sconfessando anni e anni (credo una ventina o quasi) di figurine Panini. Celine Bonacina però non arriva da Bergamo, bensì dalla Francia, e piuttosto che il centro del campo preferisce il centro del palco, a soffiare aria in un sax baritono. ‘Open Heart’ è il terzo album (secondo su Act) e nel complesso conferma qualità e limiti già mostrati nel 2010 dal predecessore ‘Way Of Life’. Innanzitutto la ricchezza espressiva ottenuta da uno strumento come il baritono, altrove spesso relegato a supporto ritmico; in questo, volendo dare qualche punto di riferimento, Celine è senz’altro più affine alla varietà di un James Carter che non a certe nenie simil-new age di un John Surman (si ascolti ad esempio lo scatenato duetto tra il sax e i vocalizzi dell’ospite Himiko Paganotti in ‘Snap The Slap’, buon sunto della “ricchezza espressiva” di cui sopra). (Continua a leggere)