FREE FALL JAZZ

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Il 31 Gennaio scorso è uscito l’ultimo album di Michael Wollny, ‘Weltentraum’. A fianco del virtuoso pianista di Francoforte troviamo l’amico e batterista Eric Schaefer e la new entry Tim Lefebre al contrabbasso. Non si tratta del “solito” trio di Wollny, gli [EM] (già recensiti per voi da FFJ): la contrabbassista Eva Kruse (con Michael e Eric in tutti i precedenti dischi del trio) ha preso una pausa, che dura da più di un anno ormai, per stare in compagnia della sua piccola bimba; che pare molto intelligente e passa intere giornate a… Fermo, questa è la recensione per Free Fall Jazz, quella per Chi la fai dopo…

Inutile dirvi che alle 23:59 del 30 gennaio ho iniziato a premere freneticamente sul bottone “Acquista” del sito della ACT tanto che mi è venuta una cisti che manco dopo un’estate a giocare al Metal Gear Solid in sala giochi… Già ma che hai fatto fino adesso? Ti sei dato a Mortal Combat? Naaa… ho ascoltato, ho ascoltato parecchio e iniziato questa recensione almeno cinque volte… Non riuscivo a capire da dove diavolo iniziare… (Continua a leggere)


Da quando sono un “appassionato di jazz” il nome Montreux si affianca spesso agli ascolti più illustri, avvolgendosi in un’aurea di solenne rispetto. Per la mia ancora acerba esperienza, spiccano su tutti i nomi di Charles Lloyd, Bill Evans, Miles Davis, Count Basie, Charlie Mingus, Archie Shepp, John McLaughlin, Billy Cobham, Joao Gilberto, Tom Jobim, Stevie Ray Vaughan, Abdullah Ibrahim, Chick Corea, Herbie Hancock, Bireli lagrene e i Green Day (Chi!!? Ma che minchia dici?! – Beh, ci sono nel programma di quest’anno… – E che michia è!? “Trova l’intruso” della Settimana Enigmistica??!) e molti altri ancora.

Dal 1967, grazie all’idea di un lungimirante impiegato dell’ufficio turistico appassionato di Jazz (stiamo parlando del da poco compianto Claude Nobs), Montreux si trasforma in una festa colarata e sonante. Un festival per l’esattezza. Una sorta di valhalla per gli appassionati di jazz. Una meta, per noi europei, quasi inarrivabile, irraggiungibile, distante una traversata Atlantica. Già, l’Atlantico: l’oceano delle grandi navi e delle loro big band. Un viaggio dall’altra parte del mondo… Prendere il biglietto, fare scalo, ore e ore di aereo per atterr… come!? Montreux…  mh… Ah, in Svizzera!? Ah, a tre ore e mezza di pandino? Ah… vabbeh, senti… fammi disdire il volo va’… (Continua a leggere)

Giovedì 25 Aprile 2013, 316 km in 7 ore di macchina affrontando maltempo, irti (ma famigliari) passi alpini e code per lavori in corso come non ci fosse un domani. Meno male che il pandino 4×4 è una certezza. Sali su un passo, scendi giù per la valle, sali su un altro passo, fermati in dogana (sì, la dogana: “Was Sie bringen in Switzerland?!”), entra in Svizzera, esci dalla Svizzera, entra in Germania, c’è coda, bestemmie pesanti, fa caldo, check-in, doccia, risali in macchina perché l’albergo più economico che hai trovato è a 30 km dal concerto, imposta il navigatore: Singen, Baden Wüttemberg, Deutschland.

Poco male: sono in anticipo. Mi faccio un girettino nella piccola e caratteristica cittadella nei pressi del Lago dei Quattro Cantoni. Vicino al GEMS, il teatro dove ci sarà lo spettacolo, c’è un ristorante. La voglia improvvisa di una bella schweineschnitzel con un bel birrozzo di quelli che dico io prende il sopravvento e, senza pensarci più di tanto, eccomi al tavolo, pronto ad ordinare. “Mi scusi, ma questo tavolo è riservato”, puntualizza l’oste, ma ritratta subito con molta gentilezza: “Ma va bene comunque dai, sono solo in due: se per lei non è un problema…”. Nessun problema, ci mancherebbe. (Continua a leggere)

Il primo pensiero corre a Walter Bonacina, storico, infaticabile ex terzino/mediano/tuttofare dell’Atalanta che Wikipedia chiama “Valter”, sconfessando anni e anni (credo una ventina o quasi) di figurine Panini. Celine Bonacina però non arriva da Bergamo, bensì dalla Francia, e piuttosto che il centro del campo preferisce il centro del palco, a soffiare aria in un sax baritono. ‘Open Heart’ è il terzo album (secondo su Act) e nel complesso conferma qualità e limiti già mostrati nel 2010 dal predecessore ‘Way Of Life’. Innanzitutto la ricchezza espressiva ottenuta da uno strumento come il baritono, altrove spesso relegato a supporto ritmico; in questo, volendo dare qualche punto di riferimento, Celine è senz’altro più affine alla varietà di un James Carter che non a certe nenie simil-new age di un John Surman (si ascolti ad esempio lo scatenato duetto tra il sax e i vocalizzi dell’ospite Himiko Paganotti in ‘Snap The Slap’, buon sunto della “ricchezza espressiva” di cui sopra). (Continua a leggere)

Rhythm Is A Dancer. Chi attualmente gira attorno alla trentina di certo ricorderà il tormentone eurodance degli Snap, che nella torrida estate di esattamente vent’anni fa si ascoltava ovunque. Non stiamo andando fuori tema, è che il titolo di quella canzone riassumerebbe alla perfezione gli intenti dietro il ritorno dell’ormai affermato Vijay Iyer. “Quest’album – svela tra le note di copertina il pianista newyorkese – segue la linea genealogica della più creativa musica americana basata sui ritmi ballabili”, spiegando il filo sottile che unisce i suoi originali a riletture pescate da repertori tanto distanti tra loro, che vanno dal sottovalutato pianista Herbie Nichols alla disco/funk degli Heatwave, passando per Michael Jackson e il genietto electro Flying Lotus.

Tanta varietà trova la sua coesione nella visione di fondo, che vede ogni brano condito da impressionanti “giochi” ritmici: praticamente tutti quelli immaginabili e anche di più (e non è un’iperbole). (Continua a leggere)