FREE FALL JAZZ

mainstream jazz tinto di r’n'b e hip hop che è davvero forte's Articles

George Burton, pianista e compositore, è stato una delle più belle scoperte dell’ultimo periodo, grazie ad un esordio a dir poco strepitoso. In Italia almeno per ora non è stato considerato nemmeno di striscio, occasione in più per insistere con questo bel concerto newyorkese dello scorso maggio. Da notare una frontline deluxe con Jason Palmer (tromba) e Tim Warfield (sassofoni).


Dispiace dover ripetere sempre le stesse cose, ma dispiace ancora di più notare come dagli Stati Uniti continuino ad uscire fior di giovani musicisti di talento, pressoché ignorati da una critica più propensa a celebrare il passato o in spasmodica attesa di un messia, possibilmente d’inaudita avanguardia. Chi ha pazienza e voglia di cercare, seguendo i musicisti stessi sui social network, non mancherà di imbattersi in sorprese gradite. Fra queste, come avrete già inteso, figura pure il trentenne George Burton, pianista newyorkese che debutta sulla Inner Circle Music di Greg Osby dopo una lunga gavetta e una serie articolata di esperienze, jazz e non solo. Come tanti suoi coetanei, Burton mette a frutto tutte le proprie esperienze in un affresco completo ed estremamente maturo, costruito attorno alla duttile sezione ritmica (completata dal bassista Noah Jackson e dal batterista Wayne Smith), una dozzina di grandi composizioni e una cast nutrito di ospiti. (Continua a leggere)

Il cammino di Orrin Evans, talentuoso e prolifico, prosegue anno dopo anno con un’agenda fittissima di concerti ed incisioni, da sideman come da leader. Si tratta ormai di un musicista ben affermato sul piano internazionale, che da anni persegue la via della riaffermazione e del rinnovamento del piano jazz, quello di scuola più che mai nera – non a caso parliamo di uno dei primi sostenitori e teorici della contestata BAM, che comunque trova una delle sue più lucide articolazioni proprio nell’opera di Evans. ‘#knowingishalfthebattle’, scritto così, proprio come un hashtag, è il logico successore del precedente ‘The Evolution Of Oneself’ e vede alla base il trio piano, basso (Lucques Curtis) e batteria (Mark Whitfield jr) a cui si uniscono diversi ospiti a seconda delle necessità. (Continua a leggere)

Il successo, seguito in Italia da assurde polemiche, del sassofonosta losangeleno Kamasi Washington ha portato all’attenzione del pubblico il West Coast Get Down, un collettivo di musicisti attivo sulla costa californiana e  in studio per vari grandi nomi del soul e dell’hip-hop. Il pianista Cameron Graves, naturalmente, fa parte di questo collettivo e con ‘Planetary Prince’ pubblica il suo primo album direttamente per Mack Avenue. Alla guida di un sestetto con basso elettrico  ed espressiva frontline (Philip Dizack alla tromba, Ryan Porter al trombone, Kamasi Washington al sax), Graves si mette mostra innanzitutto per uno stile barocco, esagerato, percussivo e frastornante che porta all’eccesso la lezione di McCoy Tyner, Chick Corea, Don Pullen e Keith Jarrett. (Continua a leggere)

Foto: Enrico Romero

Accompagnato da Luke Stewart (basso) e Warren G. Crudup III (batteria), la stessa formazione presente sull’ultimissimo ‘No Filter’, James Brandon Lewis non si è affatto risparmiato con il suo jazz intriso di funk e hip-hop. (Continua a leggere)

Cosa oggi può essere definito nello scenario contemporaneo della musica improvvisata “avanguardia” o “musicalmente avanzato” e secondo quali schemi critici e culturali di riferimento lo si afferma? (Continua a leggere)

Se i dischi di Kenny Garrett non sono sempre al massimo delle sue potenzialità (ok, è un parere personale), altra cosa sono i suoi concerti, sempre ricchi di energia, ritmo e coinvolgimento. Le quasi due ore che seguono, registrate nel 2015, lo ribadiscono! E buon weekend!


Visto che non ne parlavamo da un po’, visto che abbiamo trovato proprio ora questa bella versione di ‘Equinox’, registrata lo scorso giugno al Festival di Montreaux. Mentre aspettiamo notizie sui nuovi (ha parlato, di recente, al plurale) album, possiamo accontentarci così.


Roy Hargrove sembra restare fedele a quel concetto di ‘earfood’ così ben incarnato dal suo album omonimo del 2009: il jazz come musica energica, sofisticata, melodica, complessa, ma pure carica di entusiasmo, vibrazioni positive e capacità di comunicazione. Il rodato quintetto del trombettista texano si è lanciato così in un lungo set di quasi due ore, bis incluso, un vero e proprio saggio di estetica black. (Continua a leggere)

Se la battaglia per riportare di nuovo il jazz (senza sconti né ruffianerie) in mezzo al pubblico casuale sembra persa in partenza, purtroppo, gli Industrial Revelation sono uno di quei nomi che meglio potrebbe riuscire ad oltrepassare i confini del ghetto jazzistico e farsi apprezzare. Il quartetto di Seattle, guidato dal batterista e compositore D’vonne Lewis, sintentizza un sound moderno, originale, sofisticato ed accessibile, anche nel caso di un imponente doppio album come ‘Liberation & The Kingdom On Nri’. Groove e melodia sono i due punti essenziali degli Industrial Revelation, che costruiscono i loro brani sull’energia ritmica, armonie quasi pop e splendide melodie, con grande risalto per la tromba di Ahamefule J. Oluo: il suono robusto, l’attacco esplosivo, lo stile quasi cantato e squillante si ricollegano alle grandi trombe del sud, da Louis Armstrong a Clark Terry fino a Nat Adderley e Wynton Marsalis. (Continua a leggere)