FREE FALL JAZZ

modern bop's Articles

Concerti di livello superiore come quelli cui abbiamo potuto assistere domenica scorsa al Teatro Manzoni di Milano sembrano fatti apposta per confutare (ancora una  volta) certa forzata e ideologizzata narrazione italica sul jazz e in particolare su ruolo che oggi avrebbe il cosiddetto “mainstream” sulla scena contemporanea della musica improvvisata. (Continua a leggere)

Un disco di omaggio. A Charlie Parker, per giunta, una di quelle icone su cui non sembrerebbe esserci rimasto molto da dire. Come in tutte le cose, però, la differenza la fanno il talento e la prospettiva di chi omaggia. E nel caso di Rudresh Mahanthappa, fra i maggiori talenti del jazz di oggi, possiamo aspettarci tutto tranne che un’ovvietà. ‘Bird Calls’ parte da un’idea semplice ed elegante: costruire nuovi brani a partire da frammenti della personalità musicale di Charlie Parker, che si tratti di un lick, un giro armonico, un frammento di assolo, una melodia. Ma partendo da questo concetto, Mahanthappa affronta un viaggio in sè stesso, da quando l’ascolto della musica di Bird a 12 anni gli fece capire che il jazz sarebbe stato la sua vita, alla decisione di affrontare col jazz pure l’eredità culturale indiana. (Continua a leggere)

Il giovane sassofonista Tivon Pennicott esordisce a suo nome dopo una lunga gavetta da sideman, in cui spiccano una nutrita serie di concerti con Kenny Burrell e la partecipazione a due dischi premiati con il Grammy, ovvero ‘Liquid Spirit’ di Gregory Porter e ‘Radio Music Society’ di Esperanza Spalding. Ma certamente non è il caso di aspettarsi un lp di pop-jazz. Tivon guida un interessante quartetto, composto dal pianista Mike Battaglia, dal contrabbassista Spencer Murray e dal batterista Kenneth Salters, facendosi largo con autorevolezza nel jazz moderno grazie ad sound potente, ricco di groove, temi memorizzabili ed un marcato gusto per lo spiazzamento ritmico, la stratificazione di metri, l’uso di improvvise pause e ripartenze che disorientano, secondo le lezioni di Andrew Hill e Steve Coleman. (Continua a leggere)

L’organo hammond nacque negli anni ’30 come sostituto economico dell’organo a canne e si diffuse rapidamente nelle chiese degli Stati Uniti. Da lì passò rapidamente all’arcipelago della musica nera, jazz incluso – pezzi grossi come Fats Waller e Count Basie lo utilizzarono di quando in quando, mentre Wild Bill Davis ne fu il primo specialista col suo trio chitarra-hammond-batteria. Ma se c’è un nome che più di ogni altro ha popolarizzato lo strumento, estendendone tecnica e vocabolario oltre il pensabile, quello è Jimmy Smith. Grazie a lui, l’hammond divenne uno strumento solista alla pari dei fiati, e con un inedito uso dei pedali poteva sostituire il classico walkin’ bass. (Continua a leggere)

Penultimo appuntamento con la manifestazione milanese al Parenti dedicata al “mainstream”, iniziato con l’annuncio della direzione artistica di un prosieguo dell’esperienza per la prossima stagione concertistica, e continuato confermando l’alto livello delle proposte, con la fruizione di un concerto messo in scena da un quartetto acustico di giovanissimi brillanti musicisti, che hanno presentato una progetto musicale moderno e fresco, non convenzionale, costruito su un ampio bacino di riferimenti. (Continua a leggere)

Quando un secondo disco si intitola ‘Coming Of Age’ viene spontaneo pensare ad un tangibile passo avanti, un progresso, possibilmente nella giusta direzione. Ancor più se lo fa un musicista come Ben Williams, eccezionale contrabbassista che qui sopra è stato elogiato più di una volta: fra l’esordio e il nuovo cd sono passati diversi anni, e nel frattempo Williams ha fatto notevoli esperienze, sia in studio che dal vivo, non ultimi NEXT Collective e Pat Metheny. Purtroppo stavolta qualcosa non ha funzionato, perché ‘Coming Of Age’ conferma quasi tutti musicisti (Marcus Strickland al sax, Christian Sands al piano, Matthew Stevens alla chitarra, Etienne Charles alle percussioni e John Davis alla batteria) e l’indirizzo stilistico (post-bop modernissimo, intriso di soul, hip-hop, funk, con gli arrangiamenti ben curati tipici dei dischi Concord), ma non l’ispirazione. (Continua a leggere)

Marquis Hill è un giovane trombettista americano. Di belle speranze, si dice di solito. In questo caso forse le speranze sono più che belle, visto che, oltre ad essere molto richiesto, ha vinto la Thelonious Monk Competition nel 2014 e si appresta ad un ingresso da protagonista nei piani del jazz che conta. Fino ad oggi, invece, Marquis Hill ha pubblicato una serie interessante di lavori autoprodotti, tutti quanti disponibili in formato elettronico dal suo sito. ‘Modern Flows vol.1′ è solo l’ultimo della serie, ma conferma l’indirizzo stilistico: un jazz modernissimo, profondamente intriso di tutto ciò che è la musica “urban” (hip-hop, soul, neo-soul), ricco di groove e con una predilezione per tessiture sonore vellutate, avvolgenti, in contrasto con una sezione ritmica robusta ed energica. (Continua a leggere)

EJ Strickland è uno dei batteristi più in gamba e richiesti della sua generazione, spesso in tandem col fratello gemello Marcus. Ma oltre ad essere un musicista talentuoso dallo stile personale e riconoscibile, una versione più asciutta e funky di Jack DeJohnette, Lenny White e Al Foster, EJ è pure un leader e compositore di tutto rispetto, e l’appena uscito ‘The Undying Spirit’ ne dà una splendida conferma. Con fidati amici e collaboratori (Jaleel Shaw e il fratello Marcus ai sax, Linda Oh al contrabbasso e Luis Perdomo al piano), EJ si lancia in una serie di vigorose composizioni originali, con l’esclusione di ‘Hindsight’ di Cedar Walton, all’insegna di un jazz modernissimo ricco di influenze hip-hop e neo-soul. (Continua a leggere)

Autore di uno dei dischi più belli del 2014, Bobby Hutcherson è un vero maestro non apprezzato come meriterebbe. E se la Blue Note ha avuto il merito e la lungimiranza di riportarlo all’attenzione del pubblico, questo non significa che negli anni precedenti non combinasse niente. Lo testimonia, per esempio, questo bel concerto registrato in Germania nel giugno 2007.


Il secondo album di Jonathan Blake è dedicato a chi se n’è andato ma non è stato dimenticato, come recita il titolo. Cedar Walton, Jim Hall, Paul Motian, Mulgrew Miller sono solo alcuni degli artisti cui il poderoso batterista rende omaggio, assemblando un fantastico quartetto con Ben Street al contrabbasso e i sassofonisti Mark Turner e Chris Potter. Una scelta, per quanto riguarda la frontline, davvero azzeccata, visto lo stile perfettamente complementare dei due: robusto e aggressivo Potter, melodico e astratto Turner. Un connubio che potremmo liquidare banalmente, citando celebri coppie di opposti come Hawkins/Young o Gordon/Grey, ma sarebbe ingiusto, vista la personalità e l’autorevolezza dei due. (Continua a leggere)