Ormai prossimo ai quarant’anni, e perciò sulla soglia della maturità umana e artistica, il trombettista Sean Jones rappresenta il classico esempio (ma sono moltissimi i casi citabili) di un jazzista americano di prim’ordine che in Italia non riesce a trovare adeguato spazio concertistico a causa della ben nota programmazione ottusa e miope delle nostre direzioni artistiche che, in un diabolico mix tra artificiose pretese “cultural-progressiste” e ristrettissime conoscenze in materia, tendono ad appoggiarsi ad un circolo chiuso di agenzie proponenti sempre gli stessi nomi, sin quasi allo sfinimento, disegnando al pubblico un quadro delle proposte presenti sulla scena contemporanea del jazz a dir poco settario e pesantemente limitato. (Continua a leggere)
Estate, tempo di trombettisti, si sa. No, non è affatto vero, ma nei prossimi due mesi assisteremo al ritorno discografici di ben tre trombettisti, due dei quali dal vivo. Pronti? (Continua a leggere)
Concerti di livello superiore come quelli cui abbiamo potuto assistere domenica scorsa al Teatro Manzoni di Milano sembrano fatti apposta per confutare (ancora una volta) certa forzata e ideologizzata narrazione italica sul jazz e in particolare su ruolo che oggi avrebbe il cosiddetto “mainstream” sulla scena contemporanea della musica improvvisata. (Continua a leggere)
Le orchestre delle istituzioni musicali americane permettono agli studenti di farsi le ossa sotto tantissimi punti di vista, non ultimo il palco, in giovane età – è li che si forgiano i talenti di domani, giusto? Nell’ultima edizione del festival jazz di Newport, l’orchestra della Berklee School Of Music affianca niente meno che il grande trombettista Sean Jones in un’interpretazione eccezionale di ‘Transitions’, in origine sull’eccellente ‘The Search Within’.
Orrin Evans è di casa allo Smoke, uno dei jazz club più vivi e frequentati di New York. Non poteva che essere lui, quindi, uno dei primi musicisti ad incidere per la neonata Smoke Sessions, una nuova casa discografica collegata al locale. Per l’occasione, un quintetto nuovo di zecca: era infatti da ‘Easy Now’ del 2005 che il pianista si era dedicato al trio e, più recentemente, all’orchestra. Chiamando a raccolta vere e proprio stelle contemporanee come Sean Jones (tromba), JD Allen (tenore), Luques Curtis (contrabbasso) e Bill Stewart (batteria), Evans dedica ‘Liberation Blues’ all’amico contrabbassista Dwayne Burno, scomparso poche settimane prima per una malattia ai reni. Ed infatti ‘Liberation Blues’ è pure il titolo della suite omonima – cinque brani, due dei quali originali di Burno, ‘Devil Eyes’ e ‘Juanita’. (Continua a leggere)
Sean Jones, uno dei migliori trombettisti della sua generazione, decide in un certo senso di ripartire da zero. Il nuovo ‘Im.pro.vise’ è infatti un disco in quartetto, registrato praticamente dal vivo nello studio, senza sovraincisioni, senza ospiti, senza nessuna forma di post-produzione. Un modo per ripresentarsi e fare il punto della situazione, a sentire lui. Un modo per dimostrare come si possa suonare jazz contemporaneo senza fronzoli, intelligente ed accessibile, aggiungiamo noi. Accompagnato dalla solita, eccezionale sezione ritmica ben affiatata (Orrin Evans, Luque Curtis e Obed Calvaire), Sean Jones esplora un ampio orizzonte sonoro attraverso una serie di brani in gran parte originali, esibendo con scioltezza tutte le sue grandi qualità. (Continua a leggere)
L’arpa non è certo uno degli strumenti simbolo del jazz. A parte Alice Coltrane e Dorothy Ashby, in effetti, è difficile pensare ad altri specialisti dello strumento. Arriva ora Brandee Younger, giovanissima musicista americana che debutterà quest’anno su Blue Note e nel frattempo ha collaborato con una serie di musicisti di varia estrazione, dal jazz all’hip-hop alla classica. Questo filmato è un antipasto davvero succoso.
Da degnissimo allievo di Art Blakey, Ralph Peterson non sorprenderà troppo se presenta al pubblico una nuovissima versione del suo quartetto (o Fo’tet, come piace dire a lui). Ma c’è di più, perché il Fo’tet suona per cinque pezzi, mentre nei restanti cinque entra in scena un sestetto di giovani stelle: Tia Fuller e Walter Smith III ai sassofoni, Sean Jones alla tromba e i fratelli Curtis al basso e al piano. Le due metà del disco sono unite dalla personalità artistica di Ralph,che non rinuncia mai ad un drive ritmico irresistibile, un fitto tessuto percussivo ricco di influenze latine, e una scrittura attenta al colore strumentale e alla complessità (poli)metrica. Il Fo’tet è la formazione ‘da camera’ di Peterson, dal suono soffuso e controllato ma non per questo freddo o poco coinvolgente. ‘One False Move’, sovrapponendo il funk del basso e il latin groove della batteria in una maniera degna di Steve Coleman, genera un energico moto che infonde grande swing senza turbare il clima raccolto del brano, come faceva il Modern Jazz Quartet. (Continua a leggere)
Sean Jones, autentico fenomeno della tromba, non è nuovo ai dischi dotati di un filo conduttore. Valgano come esempi l’eccellente ‘Roots’, un programma di soul e gospel, o ‘Gemini’ che mostrava le due anime del nostro, alle prese con un’ideale facciata post bop ‘pura’ e un’altra intrisa di funk, r’n'b e hip hop. Stavolta il tema sono le molteplici sfumature associate al termine ‘amore’, argomento che si prestava ad un diluvio di standard arcinoti o alla melensaggine. Ma Jones non è Kenny G. nè Fausto Papetti!
Se al centro dell’album c’è la soprannaturale tromba del leader, così esuberante e gioiosa, non va assolutamente trascurato l’apporto del resto del quintetto, affiatatissimo, nonché l’elevata qualità dei brani, tutti originali e molto vari. Segnaliamo la trascinante ‘Look And See’, potente traccia d’apertura all’insegna di melodie tanto vigorose quanto solari e positive; la tenera elegia di ‘Momma’, lirica e contenuta ma con un’esplosione mozzafiato di note alte nel finale; (Continua a leggere)