FREE FALL JAZZ

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Pionere, visionario, polemico, lucidissimo fino alla fine, se n’è andato ieri Cecil Taylor, artista straordinario emerso a cavallo fra anni ’50 e ’60 ed esploso con fragore dirompente durante gli anni del free jazz. (Continua a leggere)

Abbiamo il piacere di ospitare nella nostra rubrica il pianista Dino Massa. Sarà interessante chiacchierare con lui poiché di recente ha sfornato un disco edito dalla norvegese Losen Records. La mia impressione personale è quella di un lavoro molto complesso, come un grande affresco, ma non ostico all’ascolto. (Continua a leggere)

Chi ama il jazz non può non apprezzare questo secondo volume dedicato allo stile tradizionale.
Lo stride piano è la matrice dell’opera e delinea atmosfere, colori ed emozioni.
Claudio Cojaniz ci trasporta alle origini del jazz, quando si mescolavano e contaminavano ragtime, blues, boogie, Africa, Europa, Sud America…
Il fraseggio è tipico, richiama naturalmente Scott Joplin, ma anche Pete Johnson, Albert Ammons e il grande Meade Lux.
La componente blues é nitida e subito percepibile, non solo nella pronuncia, ma anche nel metro delle tracce dal tempo più lento.
Nei passaggi più “tribali”, “orgiastici”, i fiumi di note caricano di energia il pianismo del musicista di Palmanova, tanto da evocare Art Tatum e Fats Waller. (Continua a leggere)

R-5293534-1399546073-5002.jpegTreasure Island, del febbraio del 1974, è stato il secondo album registrato per la Impulse! dal cosiddetto “Quartetto Americano” di Keith Jarrett, che è stata una delle formazioni chiave per comprendere certi processi di fusione linguistica tra diversi generi (oggi si direbbe con termine persino abusato “contaminativi”) emersi in quei variegati e altamente creativi anni ’70. La band composta da Jarrett al pianoforte e sax soprano, Dewey Redman al sax tenore, e i fidi Charlie Haden al basso e Paul Motian alla batteria, è stata forse la migliore che Jarrett abbia mai guidato in carriera. Oltre al quartetto, l’allora promettente chitarrista Sam Brown qui contribuisce significativamente in un paio di brani, così come Guilherme Franco e Danny Johnson si aggiungono alle percussioni. È un disco che all’epoca fu considerato dalla nostra critica, nella migliore delle ipotesi, “gradevole”, nella peggiore, liquidato come “commerciale” (tanto per cambiare e visto il buon successo discografico che riscosse), termine con il quale si derubricava qualsiasi cosa interagisse con musiche di stampo popolare e non potesse essere classificata nei dintorni di un cosiddetto “jazz d’avanguardia” e conseguentemente “creativo”. (Continua a leggere)

Stando a quanto affermato da Nels Cline nell’intervista comparsa su Musica Jazz del settembre dello scorso anno, il progetto che stiamo per commentare era allo studio del chitarrista californiano di Los Angeles già da molto tempo, nientemeno che da un quarto di secolo. Il che già di per sé dà l’idea di quanto lavoro di approfondimento deve esserci stato dietro la sua stesura definitiva, sebbene ciò non basti a definirne l’implicita riuscita, senza cioè tener conto della sua realizzazione finale. Sta di fatto che Cline ha per davvero realizzato un’opera pregevole sotto vari punti di vista. Si tratta di un lavoro importante, tra i migliori che mi sia capitato di ascoltare di recente, considerata anche la produzione media odierna tracciata su CD intorno al jazz e alla musica improvvisata, spesso non così curata. (Continua a leggere)

Cosa oggi può essere definito nello scenario contemporaneo della musica improvvisata “avanguardia” o “musicalmente avanzato” e secondo quali schemi critici e culturali di riferimento lo si afferma? (Continua a leggere)

Ci sono minchioni che sostengono sia superato affrontare gli standard, che sia una cosa detestabile e, perché no, fatta solo per compiacere il pubblico. Trattasi, appunto, di minchioni e di ignoranti, perché la differenza la fa sempre il musicista. Se è in gamba saprà trarre qualcosa di valido e originale pure dal pezzo ritenuto più logoro. Un esempio? Questa bellissima versione di ‘Softly As In A Morning Sunrise’ del quartetto del batterista Ari Hoenig, registrata allo Smalls.


Ci sono luoghi comuni nella critica jazz nostrana che paiono servire più a farsi accettare dal “branco” che a qualificarsi per competenze in materia. Ciò succede per diverse ragioni che qui non possiamo seriamente analizzare, ma la principale delle quali pare andare oltre il jazz ed essere legata alla diffusa abitudine nel nostro paese di conformarsi a certo sentire comune, se non ad un vero e proprio pensiero unico. Curioso atteggiamento questo da mostrare verso una musica che ha fatto storicamente dell’anticonformismo una sua ragion d’essere. La radice autentica del problema temo però che sia da ricercare in un ambiente intorno a questa musica decisamente invecchiato, divenuto troppo ristretto, autoreferenziale e fermo a schemi critici che paiono ormai abbondantemente superati e sostanzialmente fallaci, nonostante si pretenda di farli sembrare ancora “aggiornati”. (Continua a leggere)

A illuminare ulteriormente la fine del 2016 ci pensa pure la sempre attiva Mary Halvorson, stavolta col suo ottetto. ‘Away With You’ esce su Firehose 12 il prossimo 28 ottobre. (Continua a leggere)

L’8 Aprile 2016 la Cleanfeed Records, casa discografica portoghese, pubblica ‘Leaps in Leicester’, un’opera di altissimo livello, testimonianza dell’incontro tra il pianista Alexander Hawkins e il “Colosso” Evan Parker. Il territorio è quello della free improvisation, attraverso la quale i due artisti dialogano, si scoprono e plasmano a loro piacimento melodie, rumori, suoni, silenzi, metri e timbri, prescindendo da qualsiasi forma musicale. L’eleganza di Hawkins riesce a esaltare la genialità di Parker, a volte in contrappunto, altre imitando e altre ancora in pieno contrasto. I quadri sonori sonori che man mano si succedono hanno, come sfondo, tonalità poetiche, un po’ crepuscolari, anche molto intime. La violenza sonora, la tensione drammatica, tipiche di molto produzioni di genere, qui fanno il paio con un intrecciarsi di melodie e con una dolcezza che permea ogni traccia. (Continua a leggere)