FREE FALL JAZZ

Stando a quanto affermato da Nels Cline nell’intervista comparsa su Musica Jazz del settembre dello scorso anno, il progetto che stiamo per commentare era allo studio del chitarrista californiano di Los Angeles già da molto tempo, nientemeno che da un quarto di secolo. Il che già di per sé dà l’idea di quanto lavoro di approfondimento deve esserci stato dietro la sua stesura definitiva, sebbene ciò non basti a definirne l’implicita riuscita, senza cioè tener conto della sua realizzazione finale. Sta di fatto che Cline ha per davvero realizzato un’opera pregevole sotto vari punti di vista. Si tratta di un lavoro importante, tra i migliori che mi sia capitato di ascoltare di recente, considerata anche la produzione media odierna tracciata su CD intorno al jazz e alla musica improvvisata, spesso non così curata. Siamo infatti in un periodo nel quale i musicisti non sono più stimolati come un tempo a realizzare opere discografiche di questo impegno verso un mercato discografico sempre più povero di profitti e nel quale il supporto digitale ricopre più che altro una funzione promozionale, in vista di più remunerativi ingaggi concertistici. Evidentemente le motivazioni espressive dell’artista sono state superiori a tutto questo. Cline, già sessantenne, arriva a produrre un lavoro di grande maturità e mirabile sintesi linguistica, perfettamente inseribile nell’alveo di un jazz “avanzato” ma allo stesso tempo fortemente legato anche alla sua tradizione, dopo aver maturato esperienze pluridecennali negli ambiti più disparati della musica improvvisata e trasversalmente ai generi. Emerge chiaramente un’accurata conoscenza sia del song americano, sia di un repertorio jazzistico ricercato e non comunemente affrontato.

Lovers è un album (doppio CD) che tratta un repertorio di composizioni intorno al tema dell’amore, come esplicitamente richiamato nel titolo, inteso però nel senso più ampio possibile, cercando di mapparne anche i possibili umori e gli stati d’animo che lo accompagnano. In questo senso, non ci si sorprende nel leggere titoli di battuti standard come Beautiful LoveSecret Love, Invitation e Glad To Be Unhappy, peraltro rivisti e arrangiati in modo originale, e nei quali il suo chitarrismo evidenzia chiaramente l’influenza del prediletto Jim Hall, ma vengono proposti anche temi di compositori poco frequentati e diversissimi tra loro, come Jimmy Giuffre (Cry,Want), Annette Peacock (da lui molto stimata, in So Hard It Hurts / Touching), Michel Portal (Max, Mon Amour), Gabor Szabo (Lady Gabor), richiamandosi anche ai Sonic Youth (in Snare, Girl, avendo nel bagaglio delle sue esperienze pure una collaborazione con un suo componente, Thurston Moore). Sul piano musicale l’ispirazione complessiva in realtà si espande anche ad artisti del calibro di Paul Bley, Gil Evans (negli arrangiamenti) e Henry Mancini, con un richiamo alla musica sulla scena finale del film Colazione da Tiffany (ottimo l’arrangiamento su The Search for Cat). Cline realizza qui il suo ambizioso progetto ingaggiando un ensemble di 23 musicisti di primo livello provenienti da ambiti diversi, condotti e arrangiati da Michael Leonhart che regala un interessante impasto timbrico con l’utilizzo degli archi mescolato sapientemente con flauti e legni (clarinetto, oboe e fagotto) in prevalenza sui classici sassofoni. In questo senso è da lodare la versione di I Have Dreamed, una tenera melodia di Rodgers/Hammerstein II, poco battuta nel jazz ma qui resa magnificamente. Particolarmente apprezzabile anche il trattamento di Why Was I Born? di Jerome Kern, in cui fa capolino persino il chitarrismo di Django Reinhardt con tanto di caratteristico vibrato e splendidi soli con trombe sordinate. Tutto ciò a smentire per l’ennesima volta il cliché critico relativo all’utilizzo del song, ritenuto erroneamente esausto nella contemporaneità della musica improvvisata. Come sempre, tutto dipende da chi e come si utilizza certo materiale. Ci sono infine valide composizioni dell’autore come l’introduttivo DiaphanousHairpin & HatboxThe Bed We MadeYou Noticed The Bond a completare la riuscita dell’opera.
(Riccardo Facchi)

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