Stando a quanto affermato da Nels Cline nell’intervista comparsa su Musica Jazz del settembre dello scorso anno, il progetto che stiamo per commentare era allo studio del chitarrista californiano di Los Angeles già da molto tempo, nientemeno che da un quarto di secolo. Il che già di per sé dà l’idea di quanto lavoro di approfondimento deve esserci stato dietro la sua stesura definitiva, sebbene ciò non basti a definirne l’implicita riuscita, senza cioè tener conto della sua realizzazione finale. Sta di fatto che Cline ha per davvero realizzato un’opera pregevole sotto vari punti di vista. Si tratta di un lavoro importante, tra i migliori che mi sia capitato di ascoltare di recente, considerata anche la produzione media odierna tracciata su CD intorno al jazz e alla musica improvvisata, spesso non così curata. (Continua a leggere)
A quanto mi scrive Lanfranco Malaguti, questo CD rappresenta la conclusione della sua produzione discografica. Ed è un peccato perchè questo Why Not? rappresenta un trattamento veramente alternativo di standard americani. Basta ascoltare la prima traccia The Days of Wine and Roses per renderse conto, il trattamento armonico e ritmico richiama un atmosfera rarefatta e pshichedelica anni 60. Alternativa anche per l’uso della fisarmonica, qui al posto del basso, che crea una sorta di barriera divisoria tra la tradizionale canzone e spinte avanguardistiche dovute all’utilizzo di elettronica varia. Tutto il Cd si sviluppa intorno a questa filosofia, grazie anche ad esperti ed ottimi musicisti quali Todesco, Colussi e Fazzini. Proprio Tedesco è il quid in più, la sua capacità di “sgattaiolare” dentro e fuori il tema, mentre Colussi e Fazzini sono ormai conferme delle loro capacità e doti improvvisative. (Continua a leggere)
A illuminare ulteriormente la fine del 2016 ci pensa pure la sempre attiva Mary Halvorson, stavolta col suo ottetto. ‘Away With You’ esce su Firehose 12 il prossimo 28 ottobre. (Continua a leggere)
Come tutti i musicisti che hanno saputo ottenere un grande successo commerciale in prossimità o a latere del jazz, Pat Metheny è sempre ascoltato e giudicato con un certo sospetto dagli appassionati più intransigenti, se non con vero e proprio pregiudizio, anche quando il tempo di quel successo, ottenuto nel suo caso con il celeberrimo Pat Metheny Group (PMG), è già passato da un pezzo e sarebbe oggi possibile valutare la sua musica e la sua opera, anche attuale, con maggiore distacco ed equilibrio critico, anche dai cosiddetti “puristi”. Chi come il sottoscritto prese ai tempi una reale cotta giovanile per la musica di quel gruppo, non può non riconoscere che quel sound, al tempo considerato così fresco e nuovo, risulta oggi piuttosto datato.
David Gilmore, oramai cinquantenne, è uno dei chitarristi più richiesti del jazz americano di oggi, e ascoltandone i contributi disseminati in lungo e in largo in una carriera più che ventennale, non si fatica a capire il perché. Versatile ed evoluto, il suo stile ben si adatta alle più disparate esigenze, dalle sonorità più spigolose e geometriche di Steve Coleman al mainstream contemporaneo di Orrin Evans e molti altri ancora (Muhal Richard Abrahams, Uri Caine, Wayne Shorter, Rudresh Mahantappah, Don Byron, Dave Douglas, solo per dirne alcuni). Sorprende, piuttosto, che la sua discografia da leader sia tanto esigua. ‘Energies Of Change’, oltre ad essere il nome dell’ultimo cd, è pure quello della band, un formidabile quintetto ben rodato sui palchi e, di conseguenza, molto affiatato. (Continua a leggere)
Solitamente non mi esercito nella recensione di opere nazionali, per svariati motivi, tra cui anche la quasi impossibilità di scrivere davvero quel che si pensa per non essere inondati da improperi, o, viceversa, per essere accusato di faziosità, ma per stavolta faccio un’eccezione. E’ apprezzabile, in un periodo in cui si straparla nel jazz di “contaminazioni”, spesso per giustificare la produzione di musiche più o meno improvvisate che col jazz mantengono parentele sempre più lontane, che un giovane italiano parta umilmente con il suo primo disco da leader, (inciso a 24 anni ma oggi ne ha 26) dal linguaggio canonico del mainstream, mostrando di maneggiare l’idioma in modo sicuro e con buona proprietà (lui e i suoi compagni), senza pretese di fare velleitariamente l’innovatore, come invece mi tocca riscontrare in altri musicisti nazionali molto ambiziosi che parlano (di comodo a mio avviso) della fine creativa di quel linguaggio senza magari nemmeno saperlo maneggiare in modo adeguato. (Continua a leggere)
Esce il 25 settembre per Auand Records, il nuovo album Flow, Home del chitarrista Francesco Diodati con la formazione Yellow Squeeds. Le prime date del tour sono il 15 ottobre a Fano, il 16 al Ricomincio da Tre di Corciano (PG) e il 18 novembre al Panic Jazz Club di Marostica (VI). (Continua a leggere)
Fra il 1958 e il 1963, Wes Montgomery incise una memorabile serie di album su Riverside (diciotto, da leader e non), per passare poi alla Verve. ‘So Much Guitar!’, del 1961, è solo uno dei capitoli di questo fortunato e prolifico periodo della carriera del chitarrista, all’epoca il più influente e innovativo. L’idea di Orrin Keepnews, produttore delle sessioni, era semplice: mandare in studio Wes con grandi sezioni ritmiche e una scelta di materiale in grado di mettere in risalto tutte le sue doti. In ‘So Much Guitar!’ troviamo il piano, più bluesy e percussivo del solito, del grande Hank Jones, un giovanissimo Ron Carter e la batteria di Lex Humphries, quasi tutta sui piatti; le percussioni di Ray Barretto aggiungono un taglio latino quasi subliminale. (Continua a leggere)
Stando a Mary Halvorson, questo album si chiama ‘Reverse Blue’ perché le parole ‘reverse’ e ‘blue’ comparivano spesso nei titoli delle canzoni che suo padre aveva scritto e raccolto in un quaderno. Note eccentriche a parte, la bravissima chitarrista e compositrice ci presenta un nuovo quartetto, rodato sul palco a New York con una fitta serie di concerti prima di entrare in studio di registrazione. Oltre al fido Tomas Fujiwara (batteria) troviamo Eivind Opsivik (contrabbasso) e Chris Speed (sax e clarinetto), che si suddividono equamente la scrittura di metà dell’album, mentre il resto viene dritto dalla penna della Halvorson. Chiunque abbia un minimo di familiarità con la sua musica non faticherà affatto ad apprezzare il groove di ‘Torturer’s Reverse Delight’ o di ‘Reverse Blue’, le tipiche successioni di riff effettati e poderosi che si dissolvono in percorsi paralleli di sax e chitarra su una ritmica accidentata. (Continua a leggere)
Sabato 14 marzo 2015 ore 21.30 appuntamento con la grande musica jazz al Borgoclub di Genova (Via Vernazza 7/9 r., S. Martino), per un grande concerto che segna il ritorno sulle scene di uno dei più apprezzati jazzisti di fama internazionale: Sandro Gibellini. Il noto chitarrista si esibirà con Andrea Pozza al pianoforte e Aldo Zunino al contrabbasso. (Continua a leggere)