FREE FALL JAZZ

Chris Speed's Articles

Ottavo disco per il Claudia Quintet del leader batterista John Hollenbeck. Ottavo in due decenni di attività, una mosca bianca nell’immensa produzione di molti altri musicisti. Ciò dovuto forse al coinvolgimento del batterista in molteplici progetti o forse in una scrittura compositiva molto concentrata e condensata. Infatti come spiega lo stesso Hollenbeck nelle note di copertina “Contrariamente alla corrente tendenza popolare di fare opere di letteratura o di registrazioni più lunghe e più grandi, mi sono concentrato più di recente sulla scrittura di composizioni brevi”. Comunque sia il quintetto, qui modificato con l’inserimento di Red Wierenga al posto di Ted Reichman, rimane una formazione delle più stabili del jazz contemporaneo e anche una delle più creative. (Continua a leggere)

Matt Mitchell, nonostante abbia esordito solo nel 2013 con Fiction, pubblicato dalla Pi Recordings in duo con Ches Smith, è già da anni uno dei pianisti più celebrati e richiesti nella scena avant-jazz americana. Grazie a una notevole preparazione tecnica e accademica (tra i vari impegni, è anche insegnante in diverse scuole di New York come la School for Improvisational Music e la New School), sono diversi i musicisti che si sono avvalsi del suo talento: il suo curriculum vanta collaborazioni con personaggi come Tim Berne. Dave Douglas, Kenny Wheeler e David Torn, la partecipazione ad alcuni dei dischi più notevoli del jazz contemporaneo (come ‘Fourteen’ di Dan Weiss l’anno scorso e ‘Bird Calls‘ di Rudresh Mahanthappa, candidato fin dalla sua uscita a inizio anno ad essere una delle release jazz migliori del 2015), e perfino un fugace flirt con la band avant-prog Thinking Plague (con cui ha suonato su A History of Madness del 2003). Proprio per questo, stupisce relativamente che la sua seconda prova da leader con il doppio album ‘Vista Accumulation’ (pubblicato nel 2015 dalla Pi Recordings, che si conferma nuovamente come una delle label più importanti degli anni Dieci nell’ambito jazz) mostri una visione di insieme così ampia e profonda. (Continua a leggere)

Stando a Mary Halvorson, questo album si chiama ‘Reverse Blue’ perché le parole ‘reverse’ e ‘blue’ comparivano spesso nei titoli delle canzoni che suo padre aveva scritto e raccolto in un quaderno. Note eccentriche a parte, la bravissima chitarrista e compositrice ci presenta un nuovo quartetto, rodato sul palco a New York con una fitta serie di concerti prima di entrare in studio di registrazione. Oltre al fido Tomas Fujiwara (batteria) troviamo Eivind Opsivik (contrabbasso) e Chris Speed (sax e clarinetto), che si suddividono equamente la scrittura di metà dell’album, mentre il resto viene dritto dalla penna della Halvorson. Chiunque abbia un minimo di familiarità con la sua musica non faticherà affatto ad apprezzare il groove di ‘Torturer’s Reverse Delight’ o di ‘Reverse Blue’, le tipiche successioni di riff effettati e poderosi che si dissolvono in percorsi paralleli di sax e chitarra su una ritmica accidentata. (Continua a leggere)