FREE FALL JAZZ

Matt Mitchell, nonostante abbia esordito solo nel 2013 con Fiction, pubblicato dalla Pi Recordings in duo con Ches Smith, è già da anni uno dei pianisti più celebrati e richiesti nella scena avant-jazz americana. Grazie a una notevole preparazione tecnica e accademica (tra i vari impegni, è anche insegnante in diverse scuole di New York come la School for Improvisational Music e la New School), sono diversi i musicisti che si sono avvalsi del suo talento: il suo curriculum vanta collaborazioni con personaggi come Tim Berne. Dave Douglas, Kenny Wheeler e David Torn, la partecipazione ad alcuni dei dischi più notevoli del jazz contemporaneo (come ‘Fourteen’ di Dan Weiss l’anno scorso e ‘Bird Calls‘ di Rudresh Mahanthappa, candidato fin dalla sua uscita a inizio anno ad essere una delle release jazz migliori del 2015), e perfino un fugace flirt con la band avant-prog Thinking Plague (con cui ha suonato su A History of Madness del 2003). Proprio per questo, stupisce relativamente che la sua seconda prova da leader con il doppio album ‘Vista Accumulation’ (pubblicato nel 2015 dalla Pi Recordings, che si conferma nuovamente come una delle label più importanti degli anni Dieci nell’ambito jazz) mostri una visione di insieme così ampia e profonda.
Accompagnato dal sassofono e dal clarinetto di Chris Speed (altro musicista dal background eterogeneo, che nella sua carriera ha lavorato tanto con John Zorn e Myra Melford quanto con Julia Holter), dal contrabbasso di Christopher Tordini e dalla batteria del sempre eccellente Dan Weiss, Mitchell registra otto lunghe composizioni (la più breve sfiora gli otto minuti, la più lunga sfora il quarto d’ora) dal formato estremamente libero. I brani, a metà tra l’improvvisazione e la composizione, si evolvono perlopiù lungo uno sviluppo progressivo di temi e idee melodiche, portate avanti dal piano e dai fiati e sostenute dalla ritmica, che spesso (anche vista la provenienza musicale dei musicisti coinvolti) rimandano all’avant-prog di Henry Cow, News From Babel e Thinking Plague e alla musica da camera del Novecento, oltre che ad alcune delle formazioni jazz per intenti più vicini alla classica contemporanea come quelle di Franz Koglmann.

Il quartetto integra comunque questo processo con un’elaborazione delle composizioni fatta di assoli strumentali e interplay più tradizionalmente jazzistico: in ‘Select Your Existence’, per esempio il contrabbasso comincia a formulare le prime battute del suo assolo dallo spegnersi delle voci di clarinetto e pianoforte, contrappuntato solo dal coloratissimo lavoro sui piatti della batteria; la splendida ‘Numb Trudge’ invece si evolve proprio attraverso il confronto tra Speed e Mitchell, che dominano a fasi alterne il brano alternandosi tra assoli di sassofono (nella prima metà), clarinetto (nella seconda) e pianoforte, fino al dialogo tra i due strumenti che chiude il brano.

È però l’indiscutibile eterogeneità di stili e influenze cui si rifà l’ensemble che rende ‘Vista Accumulation’ un album particolarmente avvincente e avventuroso. Tutti i membri del complesso padroneggiano una varietà di linguaggi impressionante: se Matt Mitchell si era già distinto su ‘Bird Calls’ come un creativo rielaboratore del pianismo bebop e blues, su ‘Vista Accumulation’ si riconferma capace di far propria la lezione delle interpretazioni romantiche di Pierre-Laurent Aimard quanto lo stile afroamericano (ma sempre con tentazioni avant-garde) di Horace Tapscott e Andrew Hill; d’altra parte, le armonie e le dinamiche dei fiati di Chris Speed (soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo del clarinetto) ricordano tanto il Jimmy Giuffre più cameristico quanto le escursioni per oboe di Lindsay Cooper (Henry Cow), così come le poliritmie e l’irruenza della base ritmica riecheggiano alternativamente King Crimson e Meshuggah (grande influenza sullo stile di Dan Weiss).

Questo pout pourri di idiomi e di generi, uniti alla sempre ottima produzione della Pi (che esalta il lato più esotico della musica di Mitchell, favorendone l’indecifrabilità), rendono ‘Vista Accumulation’ uno dei dischi più interessanti di tutto il 2015, e confermano la Pi come una delle label di punta per il nuovo jazz di questo decennio.
(Ema)

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