FREE FALL JAZZ

Solitamente non mi esercito nella recensione di opere nazionali, per svariati motivi, tra cui anche la quasi impossibilità di scrivere davvero quel che si pensa per non essere inondati da improperi, o, viceversa, per essere accusato di faziosità, ma per stavolta faccio un’eccezione. E’ apprezzabile, in un periodo in cui si straparla nel jazz di “contaminazioni”, spesso per giustificare la produzione di musiche più o meno improvvisate che col jazz mantengono parentele sempre più lontane, che un giovane italiano parta umilmente con il suo primo disco da leader, (inciso a 24 anni ma oggi ne ha 26) dal linguaggio canonico del mainstream, mostrando di maneggiare l’idioma in modo sicuro e con buona proprietà (lui e i suoi compagni), senza pretese di fare velleitariamente l’innovatore, come invece mi tocca riscontrare in altri musicisti nazionali molto ambiziosi che parlano (di comodo a mio avviso) della fine creativa di quel linguaggio senza magari nemmeno saperlo maneggiare in modo adeguato. Il disco è ben suonato, Capilongo ha uno stile chitarristico molto pulito sul piano esecutivo, senza voler strafare, che sta da qualche parte tra Wes Montgomery e Grant Green e il sound complessivo del gruppo ha un qualcosa di “cool” (nel senso di Cool Jazz). La scaletta presenta noti standards e composizioni originali sia sue che di altri componenti, avvalendosi dell’esperienza del pianista Giovanni Mazzarino che contribuisce con l’ottimo First Idea costruito suila forma del rhythm changes a 32 bars. Forse il brano relativamente più debole sul piano esecutivo è A Portrait of Duke, eseguito in modo ritmicamente un po’ “squadrato”, ma è un dettaglio. E’ sostanzialmente un disco non originale (chi ha detto che l’originalità è necessariamente una plusvalenza musicale?) ma onesto, suonato con entusiasmo giovanile e che come opera prima è più che degna per un giovane promettente talento chitarristico che desidera porsi all’attenzione. Ci sarà tutto il tempo per maturare uno stile personale e una propria idea di musica, Quello che è importante è che egli ha ben compreso che una rampa di 20 gradini la si scala dal primo, non dal diciannovesimo, giusto per non scivolare e farsi male.
(Riccardo Facchi)

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