FREE FALL JAZZ

piano solo's Articles

Chi ama il jazz non può non apprezzare questo secondo volume dedicato allo stile tradizionale.
Lo stride piano è la matrice dell’opera e delinea atmosfere, colori ed emozioni.
Claudio Cojaniz ci trasporta alle origini del jazz, quando si mescolavano e contaminavano ragtime, blues, boogie, Africa, Europa, Sud America…
Il fraseggio è tipico, richiama naturalmente Scott Joplin, ma anche Pete Johnson, Albert Ammons e il grande Meade Lux.
La componente blues é nitida e subito percepibile, non solo nella pronuncia, ma anche nel metro delle tracce dal tempo più lento.
Nei passaggi più “tribali”, “orgiastici”, i fiumi di note caricano di energia il pianismo del musicista di Palmanova, tanto da evocare Art Tatum e Fats Waller. (Continua a leggere)

E’ uscito alla chetichella, senza grossi proclami né pubblicità, ‘The Armory Concert’ di Jason Moran. Si tratta di dieci composizioni per solo piano, composte in occasione dell’apertura della rassegna Artist Studio Series alla Park Avenue Armory di New York e lì registrate dal vivo. (Continua a leggere)

Il 2015 ha visto Matthew Shipp pubblicare cinque (!) album, fra cui l’ottimo ‘The Conduct Of Jazz’, e affrontare vari concerti in giro per il mondo. In questo filmato lo possiamo vedere e sentire in solitario all’ultimo festival di Saalfelden, in Austria. Buon ascolto!


Keith Jarrett scrive un altro capitolo della sua ormai lunga storia dedicata al piano solo improvvisato, inaugurata sin dai primi anni ’70, con questo Creation da poco pubblicato da ECM. Molto tempo è passato da allora e naturalmente la sua musica è  cambiata, esattamente come è cambiato il mondo attorno all’artista, oggi settantenne, seguendone perciò l’evoluzione temporale. Il suo approccio allo strumento evidentemente non può (e non vuole) essere più lo stesso di quei primi anni. In qualche modo la musica, passo dopo passo, rispecchia e fotografa lo stato del musicista stesso, tanto più in questa formula dell’esibizione in solo, così coinvolgente ed individuale, che più di altre ne mette a nudo lo stato mentale, spirituale e, non ultimo per importanza, quello fisico. (Continua a leggere)

Scoprire nel 2015 e all’alba dei suoi 70 anni, che il personaggio Jarrett faccia ancora discutere più del musicista  fa abbastanza sorridere. Frasi come: “Sono contro Jarrett”, o persino, “Odio Jarrett”, che ci è capitato recentemente di leggere sui social della rete, lasciano come minimo perplessi, specie se pronunciate da chi il musicista lo fa di professione e magari con risultati artistici difficilmente paragonabili. Peraltro, è ben curioso che certe invettive rivelino tra le righe scarsa conoscenza della sua musica. Mi pare che certi termini siano più conformi a luoghi come le curve degli stadi che riservabili ad un dibattito sulla musica, magari con pretese “colte” e peraltro l’odio  è sentimento che affonda solitamente le proprie radici nell’ignoranza. (Continua a leggere)

Arriva dalla lontana Australia, Katia Labozzetta, e non ha paura di girare il mondo: la parola d’ordine é suonare, sempre e comunque. Solo 28 anni, ma alle spalle già tanto sodo lavoro e una gavetta che l’ha portata ad esibirsi ovunque, dai locali dell’Australia meridionale ai saloni di lussuose navi da crociera: lei, la sua voce, il suo pianoforte. Labozzetta peró rifugge a qualunque stereotipo: non é la solita cantautrice che  mette due note di jazz nelle sue canzoni per venderle come musica “da salotto”, anzi. Il suo esordio, ‘A Little Somethin’ Somethin’’ (2010, con un quadrilatero sax/chitarra/sezione ritmica ad accompagnare voce e piano), spicca per varietà e personalità: tra le sue note convivono umori pop e folk, blues e rock, ma, soprattutto, tanto jazz, con riferimenti che vanno da Hancock (sia anni ’60 che ’70) a certo post bop fino a echi di fusion. La scrittura (interamente sulle sue spalle) non è banale: le strutture armoniche sono elaborate, avvincenti come i cambi di tempo o di ritmo che sorprendono spesso “in contropiede”. Insomma, roba dal discreto appeal mainstream e potenzialmente in grado di destare l’interesse anche dei palati più conservatori. (Continua a leggere)

Del nuovo, ottimo album di Vijay Iyer contiamo di parlarvi a breve. Intanto per il Picture This di questa settimana beccatevi un estratto dalla sua esibizione in Germania, al Leverkusener Jazztage, lo scorso 7 Novembre. Il pezzo è una reinterpretazione molto personale della lennoniana ‘Imagine’. Roba strasentita in tutte le salse, è vero, ma nelle sue mani c’è da dire che vince bene.