FREE FALL JAZZ

Il primo pensiero corre a Walter Bonacina, storico, infaticabile ex terzino/mediano/tuttofare dell’Atalanta che Wikipedia chiama “Valter”, sconfessando anni e anni (credo una ventina o quasi) di figurine Panini. Celine Bonacina però non arriva da Bergamo, bensì dalla Francia, e piuttosto che il centro del campo preferisce il centro del palco, a soffiare aria in un sax baritono. ‘Open Heart’ è il terzo album (secondo su Act) e nel complesso conferma qualità e limiti già mostrati nel 2010 dal predecessore ‘Way Of Life’. Innanzitutto la ricchezza espressiva ottenuta da uno strumento come il baritono, altrove spesso relegato a supporto ritmico; in questo, volendo dare qualche punto di riferimento, Celine è senz’altro più affine alla varietà di un James Carter che non a certe nenie simil-new age di un John Surman (si ascolti ad esempio lo scatenato duetto tra il sax e i vocalizzi dell’ospite Himiko Paganotti in ‘Snap The Slap’, buon sunto della “ricchezza espressiva” di cui sopra).

Musicalmente siamo dalle parti di un jazz dalle atmosfere “oscure” e ricche di bassi (e infatti alle quattro corde Kevin Reveyrand è un vero e proprio braccio destro, che non solo si ritaglia diversi spazi in prima linea ma firma anche un paio di brani di suo pugno) che si spinge verso territori free (le improvvisazioni in coda a ‘Out Of Everywhere’) e suggestioni etniche (‘Desert’, che sa fin troppo di world music), complice anche il trio di ospiti che si alterna nei vari pezzi. Tutta la seconda metà di ‘Wild World’, per esempio, è solo una vetrina per le percussioni “tribali” del guest Mino Cinelu; i vibrafoni di Pascal Schumacher impreziosiscono il passo lento di ‘Bayrum’, ma altrove (‘So Close So Far’) tediano, “ammorbidendo” fin troppo le sonorità. Quando la carne al fuoco diventa troppa il gruppo tende dunque a smarrirsi ed è un peccato, visto che quando resta compatto produce pezzi dal groove notevolissimo come ‘Circle Dance’ o ‘Watch Your Step’ (in cui Reveyrand, pur suonando il basso elettrico, mi porta alla mente il nume del contrabbasso William Parker).

La strada, in ogni caso, resta quella giusta: complimenti alla Act per continuare a cercare una via “alternativa” per il jazz europeo, che non copi calligraficamente i modelli americani e non ceda né al suono “morbido” made in ECM né a certi parossismi free pure tipici del vecchio continente. (Nico Toscani)

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