FREE FALL JAZZ

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I Foursome da Bologna si inseriscono perfettamente in quella nidiata di nuovi jazzisti tricolore di cui spesso ci siamo ritrovati a parlare su queste pagine. Musicisti che parlano linguaggi tra loro a volte anche assai diversi, accomunati però da almeno almeno un paio di assunti: l’età relativamente giovane e una predisposizione alla contaminazione in cerca di idee fresche (che non si trasformano in una scusa per sciorinare pretenziosità, come talvolta accade). E poi, ovviamente, la passione per il jazz. Tutti elementi che nei Foursome non facciamo fatica a individuare, basti pensare che le cover presenti nelle loro scalette live spaziano da Benny Golson ai Kraftwerk.

La formazione è atipica: tromba e trombone supportati da batteria e hammond. Proprio quest’ultimo, a cura di Giulio Stermieri (autore di tutti e sette i brani in scaletta) è il fulcro del sound, sdoppiandosi in più ruoli (Continua a leggere)

Il merito principale dei Bad Uok, quartetto di base a Bologna, è la codifica di un linguaggio personalissimo, e la cosa non è affatto scontata, sia perché ‘Enter’ è il loro esordio assoluto, sia per l’età relativamente giovane dei musicisti (tutti under 30). La ricerca di un’impronta riconoscibile parte sin dalla configurazione della line-up, che decide di fare a meno del basso: nonostante ciò, ‘Enter’ è un disco in cui la ritmica e le basse frequenze giocano una parte importantissima, forse proprio perché il suddetto risultato viene cercato rimpiazzando il ruolo delle quattro corde con strumenti dal tono altrettanto “oscuro” come il trombone (suonato da Federico Pierantoni), il Fender Rhodes (a cura del pianista Andrea Calì), finanche, in alcuni episodi, la chitarra baritona di Leonardo Rizzi.

Per convenienza potremmo definirli avant-jazz: quello dei Bad Uok è un melting pot stilistico in cui convivono passaggi ambient e momenti intimisti (l’intro pianistica che apre il disco, formula ripresa anche nella conclusiva title-track), scorie elettroniche, free jazz e improvvisazione pura, ma anche intricate ritmiche di stampo math rock (che non sfociano mai nel jazzcore vero e proprio) e atmosfere “cinematiche” (Continua a leggere)