FREE FALL JAZZ

I’m a soul man's Articles

L’opera del DJ Amir Abdullah è encomiabile: da vero appassionato si è assicurato i diritti sul catalogo della Strata Records, label di culto fondata negli anni ’70 a Detroit da Kenny Cox e durata solo una manciata dischi, riesumando il marchio e ristampandone il materiale. Materiale su cui peraltro si è fantasticato per anni: molti dischi pubblicizzati come “in uscita” sul retro di quelle copertine in realtà poi non hanno fatto in tempo ad arrivare nei negozi, e il bello è che Abdullah, grazie alla disponibilissima vedova di Cox, è in possesso anche dei master inediti, che pure saranno oggetto di riesumazione.

Primo tra di essi è ‘Mirror Mirror’ dell’altosassofonista Sam Sanders, uno che a livello locale era una piccola istituzione, con migliaia di concerti macinati sui palchi della “motor city”, esperienze al fianco di leggende come Sonny Stitt, Rashaan Roland Kirk e Milt Jackson, ma anche session man con Stevie Wonder. (Continua a leggere)

A poca distanza dalla recensione dell’ottimo ‘Take A Little Trip’, Jason Palmer ha risposto gentilmente alle nostre domande svelando parecchie cose interessanti. Il giovane trombettista è una delle stelle in ascesa del panorama americano e finora non ha sbagliato una mossa – inclusa pure la partecipazione in veste di protagonista al film indipendente ‘Guy And Madeline On A Park Bench’, che ci riproponiamo di visionare. (Continua a leggere)

Quella di Baby Face Willette sembra una storia uscita da ‘Natura Morta Con Custodia Di Sax’, meraviglioso tomo in cui lo scrittore Geoff Dyer drammatizza le parabole più o meno autodistruttive di alcune leggende del jazz. Baby Face non è mai diventato grande quanto un Monk o un Bud Powell, anzi, quel successo non lo ha nemmeno sfiorato da lontano, però la sua storia tra quelle pagine non avrebbe sfigurato, per giunta senza alcuna licenza letteraria: vuoi per la sua breve ma intensissima carriera, vuoi per l’alone di mistero di cui è circondato, tanto che i dubbi sulla sua morte, avvenuta nel 1971, perdurano ancora oggi. Altrettanto contrastanti sono le voci di chi ebbe modo di conoscerlo: per qualcuno i suoi concerti avevano del trascendentale, pregni di un’energia mai catturata su disco; altri invece lo apostrofavano come mediocre musicista, forse perché Baby Face picchiava sul suo Hammond B-3 con un vigore più vicino a quello dei gruppi rock che adotteranno di lì a poco il medesimo strumento che non a un Jimmy Smith, che proprio in quel periodo a cavallo tra ’50 e ’60 faceva furore.  (Continua a leggere)

Quando un navigato Curtis Mayfield cominciava la sua carriera da solista all’inizio degli anni ’70, dopo un quindicennio speso come compositore, arrangiatore e leader degli Impressions, William Parker era un ragazzone di diciotto anni che muoveva i primi passi nell’underground newyorkese. Cosa lega una leggenda della soul music con un musicista jazz, si chiederà qualcuno? In primis il concetto di continuum della musica nera, ma non solo. La produzione di Mayfield era fortemente caratterizzata in senso politico e sociale, in parallelo al suo attivismo. William Parker, da sempre interessato a quelle stesse tematiche (razza, società, integrazione e progresso), sceglie di rileggere una serie di classici di Mayfield in chiave jazz servendosi di un ampio organico che, oltre alla classica strumentazione, prevede due cori, uno di bambini e uno gospel, e le voci del sempre vigoroso Amiri Baraka e della bravissima Leena Conquest. Dopo diversi tour (2001, 2002, 2007, 2008) esce finalmente un disco, registrato rigorosamente dal vivo. (Continua a leggere)