FREE FALL JAZZ

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Il concetto di All-Star Band non è certo una novità. Si tratta, anzi, di una prassi ben consolidata nel mondo del jazz, iniziata con ogni probabilità dalla Verve come riflesso dei tour Jazz At The Philarmonic organizzati da Norman Granz. Altri tempi e altre platee per questa musica, certo, ma il concetto non è necessariamente da buttar via. Non sorprenderà che sia, oggi, proprio la Mack Avenue a rispolverare l’idea, assemblando una Superband con figure chiave del proprio parterre di artisti: l’etichetta di Detroit è portavoce di un jazz mainstream sofisticato e ricco, ma quasi sempre accessibile, proprio come la Verve. La Superband ne diventa il biglietto da visita, rigorosamente dal vivo, sul palco ovviamente ma pure su disco, come testimoniano i live registrati dal 2012 a oggi. (Continua a leggere)

Alla quarta parte

Già nel 1974, Michael Braun aveva avvicinato Wonder per scrivere il tema per un film che stava facendo, chiamato “The Secret Life of Plants”. Il film si doveva basare sul best seller omonimo scritto da Christopher Tompkins e Peter Bird. Dopo che Stevie ha presentato la canzone, i produttori cinematografici gli chiedono di fare l’intera colonna sonora. Non avendo mai tentato un tale compito, Wonder sentiva che il progetto sarebbe stato una sfida per una persona cieca. (Continua a leggere)

Alla terza parte   Alla quinta parte

Per comprendere meglio lo stile e il lavoro che Stevie Wonder stava producendo nel periodo, è il caso di aprire un inciso (ma l’argomento meriterebbe certamente un più serio approfondimento) sulla mescolanza che in quei primi anni ’70 stava avvenendo tra il Jazz e il Funk (41), da un lato, documentata non a caso per Wonder dalla relationship con Herbie Hancock, e la ballata in forma soul-R&B, più o meno ritmata, dall’altro, in quanto sono da considerare gli ingredienti fondanti dell’opera di Wonder, che gli hanno permesso di sfornare certi capolavori, come il successivo, assai variegato, “Songs in the Key of Life”, contenente un po’ tutte queste fonti di ispirazione caratteristiche proprio della “Black Music” del periodo. (Continua a leggere)

William Parker pubblica dischi a getto continuo, al punto che a volte si finisce per perderne qualcuno per la strada. Vista la qualità mediamente alta della sua opera è certamente un peccato, ma lo è ancora di più quando il contrabbassista newyorkese devia dai suoi binari abituali e apre un nuovo capitolo, facendo per di più centro completo. L’intento di ‘Uncle Joe’s Spirit House’ è quello di celebrare la vita di zio Joe e zia Carrie, che con il duro lavoro e la generosità furono di grande ispirazione al piccolo William; per farlo, ecco un gran bel disco di puro soul jazz, quello che fioriva negli anni della gioventù degli amati zii. Sono della partita tre fidi comprimari come il tenore Darryl Foster, l’organista (in questo caso) Cooper-Moore e il batterista Gerald Cleaver, alle prese con nove brani originali scritti dal leader. (Continua a leggere)