FREE FALL JAZZ

l’asso del contrabbasso's Articles

La location del Tempio Di Nettuno, in mezzo ai resti d’epoca romana, è suggestiva e sarebbe stata una cornice magnifica per il concerto di Cyrus Chestnut e i suoi. Dico sarebbe, perchè un acquazzone mattutino ha spinto gli organizzatori a optare per la prudenza e spostare in fretta e furia l’esibizione in un piccolo gazebo presente nel parco stesso. Ma va bene anche così: ci siamo goduti dell’ottimo jazz a distanza estremamente ravvicinata.

Di Chestnut abbiamo già parlato in precedenza su queste pagine: si tratta di uno dei pianisti più solidi del panorama mainstream americano, con una proprietà di linguaggio che attraversa decenni di jazz fino a toccare radici intrise di blues e di gospel. Il trio è completato da una sezione ritmica dal pedigree impressionante: Buster Williams al basso, Lenny White alla batteria. La stessa formazione, dunque, autrice del recente ‘Natural Essence’. Proprio quest’ultimo costituisce il fulcro della scaletta, anche se stasera i nostri sembrano avere una marcia in più rispetto al (pur buon) disco. In particolare, a giovarsene è la ‘Mamacita’ che fu di Joe Henderson, ora davvero travolgente, ma anche i momenti più calmi,  come la “notturna” ‘Faith Amongst The Unknown’, risultano altrettanto incisivi. (Continua a leggere)

I più attenti ricorderanno che William Parker, assieme ad altri ospiti, ha già suonato con gli Udu Calls (alias il fiatista Daniele Cavallanti e il batterista Tiziano Tononi) in occasione di ‘Spirits Up Above’ del 2006. ‘The Vancouver Tapes’, che vede coinvolti solo i due musicisti nostrani e il bassista della Grande Mela, non rappresenta però il passo successivo a quella collaborazione, bensì una sorta di prequel. Le registrazioni risalgono infatti al Vancouver Jazz Festival del 1999, frutto di un DAT inaspettatamente ritrovato da Tononi. La qualità audio è, prevedibilmente, abbastanza cruda (ma comunque più che sufficiente), fattore che se da una parte potrebbe scoraggiare certi puristi del suono, dall’altra riesce a rendere bene l’idea dell’impatto e della “ruvidità” che il trio ha sprigionato sul palco quel giorno di Giugno di ormai quasi sedici anni fa. (Continua a leggere)

Se ne è andato pure Charlie Haden dopo una lunga malattia. Con Ornette Coleman, con Keith Jarrett, con Pat Metheny e nei numerosi progetti a suo nome ha lasciato un bel solco nella storia del jazz, di cui era una delle figure più impegnate a livello sociale – una dozzina d’anni fa diede vita persino ad una seconda Liberation Music Orchestra. (Continua a leggere)

Se n’è andato all’improvviso, il 28 dicembre, Dwayne Burno, contrabbassista di grande talento e da tempo malato di reni. (Continua a leggere)

Copertina, retro e titolo di questo album veicolano un messaggio abbastanza chiaro: questa è musica per tutti. In effetti, quando Christian McBride ha messo su gli Inside Straight aveva in mente una cosa, ovvero suonare del jazz che fosse potente, accessibile, e allo stesso tempo sofisticato. Tradizione in movimento, resa sempre attuale. Un credo che alcuni definirebbero “populista”, ma che in realtà non è alieno a gran parte del miglior jazz e che rientra nel concetto più ampio di arte in America, dove l’entertainment non è visto come qualcosa di cui vergognarsi, ma come un valore aggiunto capace di veicolare concetti complessi al pubblico più ampio possibile. Difficile a questo punto non pensare a Cannonball Adderley, che da sempre ha perseguito quest’ottica nell’arco di una carriera interrottasi troppo presto. (Continua a leggere)

Eric Revis è noto soprattutto per la sua lunga militanza nel super quartetto di Branford Marsalis, ma può vantare pure tantissime collaborazioni nei contesti più disparati (da Russell Gunn a Peter Broetzmann passando per Orrin Evans) e una carriera da leader che per ora ha fruttato tre album. Rimandando al futuro la trattazione dei primi due ottimi album, ci concentriamo sul nuovo arrivato, ‘Parallax’, con un quartetto all-stars nuovo di zecca. Si parla infatti di nomi come Jason Moran, Nasheet Waits e Ken Vandenmark, ovvero nomi fra i più interessanti del jazz contemporaneo: background molto differenti (Moran e Waits comunque suonano insieme da dieci anni) e premesse delle migliori, perché si parla di musicisti che in modi diversi lavorano alacramente per individuare nuove prospettive nel jazz. L’idea alla base di ‘Parallax’ alla fine non è nemmeno così nuova, quindi – si mettono insieme i musicisti, gli si dà del materiale di partenza (sei pezzi originali, due improvvisazioni collettive, due classici di Fats Waller e Jelly Roll Morton) e li si fa partire, confidando nell’inventiva e nella capacità dei singoli di lavorare insieme. (Continua a leggere)