FREE FALL JAZZ

Eric Revis è noto soprattutto per la sua lunga militanza nel super quartetto di Branford Marsalis, ma può vantare pure tantissime collaborazioni nei contesti più disparati (da Russell Gunn a Peter Broetzmann passando per Orrin Evans) e una carriera da leader che per ora ha fruttato tre album. Rimandando al futuro la trattazione dei primi due ottimi album, ci concentriamo sul nuovo arrivato, ‘Parallax’, con un quartetto all-stars nuovo di zecca. Si parla infatti di nomi come Jason Moran, Nasheet Waits e Ken Vandenmark, ovvero nomi fra i più interessanti del jazz contemporaneo: background molto differenti (Moran e Waits comunque suonano insieme da dieci anni) e premesse delle migliori, perché si parla di musicisti che in modi diversi lavorano alacramente per individuare nuove prospettive nel jazz. L’idea alla base di ‘Parallax’ alla fine non è nemmeno così nuova, quindi – si mettono insieme i musicisti, gli si dà del materiale di partenza (sei pezzi originali, due improvvisazioni collettive, due classici di Fats Waller e Jelly Roll Morton) e li si fa partire, confidando nell’inventiva e nella capacità dei singoli di lavorare insieme. Ne esce un suono di gruppo cupo e molto percussivo dalle diverse suggestioni: il blues, Thelonius Monk, Cecil Taylor, Ornette Coleman e Duke Ellington mescolati in un magma di sonorità dense, attraversate dal pianoforte ora più frammentato, ora più stride, ora più post-bop di Moran, che volteggia attorno alla pulsazione principale, e dall’attento sax (o clarone) di Vandermark, molto bravo a trovare di volta in volta l’approccio più adatto alle necessità del pezzo. Dopo l’introduzione ‘Prelusion’, una furente presentazione di Revis al contrabbasso con archetto, troviamo pezzi ruvidi ed energici come ‘Winin’ Boy Blues’ (Morton), impalpabili e astratti come ‘Celestial Hobo’, simil-waltzer ellingtoniani come ‘Edgar’. Quando funziona, va che è una meraviglia. Altre volte, come in ‘Hypertral’ o ‘Dark Net’, il quartetto forza un po’ la mano e sopperisce con l’energia ad un certo caos organizzativo.

Accostando passato e presente, ritmi da marching band con libertà free e un originale senso del blues e del jazz delle origini, Eric Revis e i suoi compagni aggiungono un capitolo interessante a quella ricerca meta-storica avviata da musicisti come Julius Hemphill, David S. Ware e William Parker. Tutto bene: solo, a volte i quattro perdono un po’ il bandolo. Confidiamo che le future uscite correggeranno il tiro.
(Negrodeath)

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