Copertina, retro e titolo di questo album veicolano un messaggio abbastanza chiaro: questa è musica per tutti. In effetti, quando Christian McBride ha messo su gli Inside Straight aveva in mente una cosa, ovvero suonare del jazz che fosse potente, accessibile, e allo stesso tempo sofisticato. Tradizione in movimento, resa sempre attuale. Un credo che alcuni definirebbero “populista”, ma che in realtà non è alieno a gran parte del miglior jazz e che rientra nel concetto più ampio di arte in America, dove l’entertainment non è visto come qualcosa di cui vergognarsi, ma come un valore aggiunto capace di veicolare concetti complessi al pubblico più ampio possibile. Difficile a questo punto non pensare a Cannonball Adderley, che da sempre ha perseguito quest’ottica nell’arco di una carriera interrottasi troppo presto. Gli Inside Straight in effetti si rifanno parecchio all’estetica di Cannonball, a quell’hard bop/soul jazz nero fino al midollo e ricco di ritmo, di inflessioni soul, di blues e di gospel, con tanta capacità di comunicare. La formazione con sax e vibrafono ricorda pure il bel gruppo di Harold Land e Bobby Hutcherson degli anni ’60, e conferma quasi tutti gli stessi musicisti del primo capitolo, anche se Eric Reed ha lasciato il piano alle capaci mani di Peter Martin e Christian Sands (su due pezzi, in cui viene affiancato pure dal fenomeno della batteria Ulysses Owens jr.). E poi la musica, giusto. ‘Listen To The Heros Cry’, con tuonanti accordi di piano ed emozionati inseguimenti fra sax (l’ottimo Steven Wilson) e vibrafono, ci immerge in clima gioioso e intriso di gospel che vede in Horace Silver il nume tutelare; ‘Fair Hope Theme’ vede Wilson grande protagonista, alternato ad avvincenti momenti d’insieme dove il mastodontico basso del leader si danna l’anima in linee melodiche complementari di grande potenza; ‘Unusual Suspects’ è un blues funky con ampi spazi per piano e vibrafono, ritmato e ballabile; ‘Gang Gang’ impiega ritmi afro-cubani e si avvicina a certe composizioni di Dorham e Henderson degli anni ’60.
In perfetto equilibrio fa assolo e insieme, fra scrittura e improvvisazione, con temi orecchiabili sviluppati con solida coerenza in performance stellari, ‘People Music’ è un disco che aspetta solo di essere ascoltato e goduto a ripetizione. Anche e soprattutto dal vivo, come possono testimoniare i fortunati (tra cui io stesso) che hanno già avuto la fortuna di ammirare questo splendido gruppo.
(Negrodeath)