FREE FALL JAZZ

Quando un navigato Curtis Mayfield cominciava la sua carriera da solista all’inizio degli anni ’70, dopo un quindicennio speso come compositore, arrangiatore e leader degli Impressions, William Parker era un ragazzone di diciotto anni che muoveva i primi passi nell’underground newyorkese. Cosa lega una leggenda della soul music con un musicista jazz, si chiederà qualcuno? In primis il concetto di continuum della musica nera, ma non solo. La produzione di Mayfield era fortemente caratterizzata in senso politico e sociale, in parallelo al suo attivismo. William Parker, da sempre interessato a quelle stesse tematiche (razza, società, integrazione e progresso), sceglie di rileggere una serie di classici di Mayfield in chiave jazz servendosi di un ampio organico che, oltre alla classica strumentazione, prevede due cori, uno di bambini e uno gospel, e le voci del sempre vigoroso Amiri Baraka e della bravissima Leena Conquest. Dopo diversi tour (2001, 2002, 2007, 2008) esce finalmente un disco, registrato rigorosamente dal vivo. Il nutrito ensamble di Parker (presente il fedelissimo Hamid Drake alla batteria) sviscera le potenzialità ritmiche e tematiche dei brani originali con un lavoro di ampio respiro, dove convivono lussureggianti sezioni di fiati mingusiani, laceranti eruzioni collettive, hard bop e funk, rap e slam poetry, con le onnipervasive radici blues e gospel in costante filagrana. Oltre a Charles Mingus, possiamo citare l’Archie Shepp di ‘Attica Blues’ e il criticatissimo Albert Ayler di ‘New Grass’, per la disinvolta padronanza e convivenza di tutti gli stili musicali black in un insieme aggressivo, energico, esaltante, tanto complesso quanto viscerale. La title track, che apre il disco, è un esempio perfetto, con la voce sicura della Conquest e un’atmosfera che ondeggia fra il gospel e slanci free jazz. Altri pezzi forti ‘If There’s A Hell Below’, ben ventun minuti che partono con un ritmato brano soul, prosegue con una serie di splendidi assolo (piano, tromba, soprano, tenore) su vigorosi riff ed esplode in un climax collettivo e caotico che ritorna gradualmente sul soul iniziale seguendo una costruzione quasi cinematografica, e il maestoso gospel ‘This Is My Country’, presente in due versioni (una con coro gospel, l’altra con coro di bambini), con incendiario finale dai sax in pieno Texas style.

Opera imponente e riuscita, ‘I Plan To Stay A Believer’ porta l’opera di Curtis Mayfield nel jazz in maniera creativa ma allo stesso tempo accessibile, con un vigore ed un’ispirazione davvero impressioanti. Una delle opere più riuscite di questo prolifico, torrenziale artista.
(Negrodeath)

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