FREE FALL JAZZ

riccardoni's Articles

La giovane Hiromi Uehara è diventata rapidamente uno dei fenomeni mediatici più in vista del jazz contemporaneo. Merito di un investimento promozionale notevole, volto ad esaltare alcuni tratti innegabili della pianista giapponese: la mostruosa padronanza tecnica dello strumento, con un’indipendenza fra le mani davvero incredibile, l’eclettismo, il gusto per l’elettronica, e per finire un look vistoso ma comunque simpatico. Il nuovo album in trio ‘Alive’, messa da parte la sola elettronica, conferma tutte le caratteristiche dello stile Hiromi e ne mette in evidenza il limite maggiore, ovvero l’essere più fumo che arrosto. Va detto che le sezione ritmica non aiuta di certo: il bassista Anthony Jackson fa il suo, ma la batteria di Simon Phillips è piacevole come una trave nell’orecchio, vista l’ottusa fissità e la completa assenza di qualsiasi forma di lavoro su dinamica e timbro. (Continua a leggere)

Amato, odiato, discusso, invidiato, riverito, Chick Corea a settantun’anni è ormai un musicista arrivato che, in teoria, non ha più niente da dimostrare a nessuno. La sua carriera, in quasi cinque decadi, ha attraversato molte fasi, ognuna delle quali ha i suoi sostenitori come i suoi detrattori. Il nuovo ‘The Vigil’ lo possiamo vedere, forse, come un tentativo di sintesi di alcuni dei volti più amati del pianista: il post-bop evoluto di fine anni ’60, la fusion degli anni ’70, il pastiche latineggiante, il kitsch populista si ritrovano tutti insieme,  confermati come mattoni fondanti dell’estetica dell’estroso Armando, che con la consueta generosità allestisce un sostanzioso banchetto per i numerosi ammiratori. (Continua a leggere)

Lo apprendiamo ahinoi solo ora dal Guardian e citiamo pari pari il titolo del loro articolo, troppo bello per lanciarci in traduzioni o alternative.

I fatti sono questi: la Guardia Civil spagnola (gruppo militare equivalente ai nostri Carabinieri) si è presentata al Siguenza Jazz Festival (del 2009) durante l’esibizione del morbido Larry Ochs dopo aver ricevuto la denuncia di uno spettatore, secondo cui la musica del sassofonista americano “si trova dalla parte sbagliata della linea che divide il jazz dalla musica contemporanea”.

No, non è uno scherzo. L’adirato astante avrebbe anche aggiunto che, secondo il proprio medico, per lui sarebbe “psicologicamente sconsigliato ascoltare qualunque cosa possa essere scambiata per becera musica contemporanea”.

La denuncia sarebbe scattata in seguito al rifiuto dell’organizzazione di rimborsare il biglietto al tizio di cui sopra: “Il gentile signore ha detto di volere i soldi indietro perchè questo non è jazz - ha spiegato Ricardo Checa, direttore della manifestazione – Ma non riceverà un euro, visto che sapeva bene quali musicisti si sarebbero esibiti: i loro nomi erano chiaramente pubblicizzati su ogni programma”.

Qualcuno adesso si premuri di rintracciare questo sfortunato signore: la sua denuncia non sarà andata a buon fine, ma noi moriamo dalla voglia di fargli conoscere Renzo Arbore. (Nico Toscani)

I’m Kenny G, and I love the internet.

Non bastavano già due perle come lo spot Audi e il cameo nel video di Katy Perry, Kenny G ormai mira senza ritegno al riscatto sociale completo. Stavolta gli artefici sono quei mattacchioni di Funny Or Die, che convincono il ricciolone più amato dai riccardoni a girare un video in cui passa in rasegna una serie di tormentoni di internet: “Venni contattato da una giovane coppia di registi - spiega Kenny in un articolo su Jazztimes.com - che voleva fare una storia su di me. Durante i lavori a un certo punto mi chiesero: ‘Vuoi fare un video simpatico oggi? Sarebbe divertentissimo se ti mettessi a fare un po’ di Tebowing‘. E io: ‘Davvero sarebbe divertente?’. ‘Come no’, risposero loro: lo filmammo e da lì partì tutto’. Il devastante risultato s’intitola ‘Kenny G Loves The Internet’ e potete vederlo qui sotto. Ancora una volta sarà il momento migliore della vostra settimana, garantito.

Di questo passo potrebbe davvero convincerci a comprare un disco coi riccioloni in copertina. Stima imperitura. (Continua a leggere)

Come molti della mia generazione, ho conosciuto Joe Jackson grazie alla cover di ‘Got The Time’ fatta dagli Anthrax. Da allora ho sempre provato la massima simpatia per Joe, musicista pop inglese difficile da incasellare e da sempre innamorato del jazz (vedasi il suo classico lp  ’Night And Day’). Quest’anno arriva nei negozi ‘The Duke’, un nuovo album interamente dedicato a… riletture ellingtoniane, proprio così. Per l’operazione Jackson non ha badato a spese, assemblando un cast di musicisti molto eterogeneo: da jazzisti di fascia altissima (Regina Carter e Christian McBride) al chitarrista riccardone Steve Vai a ?uestlove dei grandi The Roots per finire con Iggy Pop, ex ragazzaccio terribile riconvertitosi con successo in icona glamour per tutte le stagioni – e qui citiamo giusto i più noti. La cosa non dovrebbe sorprendere, perché più volte il cantante ha parlato di Ellington come del suo compositore preferito assieme a George Gershwin e Cole Porter. (Continua a leggere)

Per “protesta” non userò più di 200 parole.

Mi sta benissimo che qualcuno cerchi di rendere omaggio a Tony Williams, uno dei primi a voler sfumare la linea di confine tra due generi allora ritenuti antipodici come jazz e rock, ma che negli anni è stato talvolta ingenerosamente (e superficialmente) liquidato come Billy Cobham del discount.

Ancora meglio se negli Spectrum Road troviamo uno che con Williams ha scritto pagine importanti, Jack Bruce, e gente degna di stima e devozione come Vernon Reid e Cindy Blackman (il cui ‘Telepathy’ resta per me una delle migliori espressioni post-bop degli anni ‘90), che – con il tastierista John Medeski a chiudere il quadrilatero – si cimentano con un repertorio che attinge dai Tony Williams Lifetime.

Le nuove versioni suonano “gonfiate”, c’è “più tutto”: più volume, più note (autentiche cascate: Vernon Reid, brutto dirlo, a tratti sembra voler fare a gara a chi la fa più lontano con gli originali di McLaughlin), più elettricità. ‘Spectrum Road’, in sostanza, sembra un disco fusion virato prog metal, roba buona per fare colpo su ascoltatori facilmente impressionabili e affascinati dal numero ad effetto.

Qualcosa di piacevole si trova pure, il punto è che spesso less is more. Loro però fanno gli gnorri. (Nico Toscani)

Il pubblico. Passano gli anni e a volte dei concerti li ricordi più per quello che accade sotto il palco anziché sopra. Ieri sera i segnali puntavano in quella direzione fin dall’inizio, quando tra la folla si sono fatti strada i volti di numerosi cultori del bel suono di mia conoscenza, raduno di riccardoni impenitenti che al termine dei numeri più funambolici degli strumentisti si lanciavano in cori “GI-NO! GI-NO!” modello quei ragazzi della curva B. (Continua a leggere)


Ah, se non ci fosse Google… Ah, ma come si faceva prima, senza Google… Io, personalmente, usavo Excite. Non so manco se esiste ancora. E quando Internet Explorer s’inchiodava navigavo con Netscape. Non so manco se esiste ancora. Il bello di Google (e, in teoria, di ogni altro motore di ricerca) è la sua natura orwelliana, il suo registrare tutto di tutti. Registrazioni che, purtroppo, arrivano a noi in forma più o meno anonima: se i log di Google fossero un video, sarebbero uno di quelli coi visi quadrettati e le voci alterate per assomigliare a quella di Eddie Murphy. E insomma, in quasi tre mesi di Free Fall Jazz un bel po’ di gente è capitata sulle nostre pagine digitando qualcosa su Google, e molto spesso si tratta di chiavi di ricerca su cui, scommettiamo, i navigatori preferirebbero mantenere un certo riserbo. Ma potevamo noi restare omertosi davanti a cotanto ben di Dio? Ovviamente no, e quindi vi beccate questo piccolo regalino post-natalizio che speriamo sia capostipite di una cospicua serie. (Continua a leggere)


Ah, se non ci fosse Google… Ah, ma come si faceva prima, senza Google… Io, personalmente, usavo Excite. Non so manco se esiste ancora. E quando Internet Explorer s’inchiodava navigavo con Netscape. Non so manco se esiste ancora. Il bello di Google (e, in teoria, di ogni altro motore di ricerca) è la sua natura orwelliana, il suo registrare tutto di tutti. Registrazioni che, purtroppo, arrivano a noi in forma più o meno anonima: se i log di Google fossero un video, sarebbero uno di quelli coi visi quadrettati e le voci alterate per assomigliare a quella di Eddie Murphy. E insomma, in quasi tre mesi di Free Fall Jazz un bel po’ di gente è capitata sulle nostre pagine digitando qualcosa su Google, e molto spesso si tratta di chiavi di ricerca su cui, scommettiamo, i navigatori preferirebbero mantenere un certo riserbo. Ma potevamo noi restare omertosi davanti a cotanto ben di Dio? Ovviamente no, e quindi vi beccate questo piccolo regalino post-natalizio che speriamo sia capostipite di una cospicua serie. (Continua a leggere)

Il Natale è un periodo adattissimo per sfogare i peggiori istinti. Che non sono le mangiate pantagrueliche in cui ci si sfinisce pur di non lasciar nemmeno una briciola a’ bisognosi, cosa che peraltro facciamo, ma la pubblicazione copiosa di abominevoli album natalizi. Una prassi disdicevole in cui il sentimentalismo la fa da padrone con melassa e riccardoni, incarnazione perfetta dell’aspetto più retorico e piagnisteoso del Natale. Il jazz naturalmente non si fa mancare nulla, nemmeno i dischi di Natale. Ed è così che, animati da spirito natalizio, scegliamo per voi alcune fra le cose peggiori che YouTube mette gratuitamente a disposizione.

Qui sopra potete ammirare la riccardonìa di Dave Koz, che si produce assieme alla sua band in uno zibaldone di motivi natalizi e traditional (ma pure ‘No Blues’ che sfuma in ‘Gingombèls’) che, onestamente, fa caa’ la merda. Certo, il suono è pulito e bello, certo, questa è gente che a differenza di me ha studiato, però insomma, fa schifo. (Continua a leggere)