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Il Natale è un periodo adattissimo per sfogare i peggiori istinti. Che non sono le mangiate pantagrueliche in cui ci si sfinisce pur di non lasciar nemmeno una briciola a’ bisognosi, cosa che peraltro facciamo, ma la pubblicazione copiosa di abominevoli album natalizi. Una prassi disdicevole in cui il sentimentalismo la fa da padrone con melassa e riccardoni, incarnazione perfetta dell’aspetto più retorico e piagnisteoso del Natale. Il jazz naturalmente non si fa mancare nulla, nemmeno i dischi di Natale. Ed è così che, animati da spirito natalizio, scegliamo per voi alcune fra le cose peggiori che YouTube mette gratuitamente a disposizione.

Qui sopra potete ammirare la riccardonìa di Dave Koz, che si produce assieme alla sua band in uno zibaldone di motivi natalizi e traditional (ma pure ‘No Blues’ che sfuma in ‘Gingombèls’) che, onestamente, fa caa’ la merda. Certo, il suono è pulito e bello, certo, questa è gente che a differenza di me ha studiato, però insomma, fa schifo. (Continua a leggere)

Per anni quei riccioloni al vento sono stati un punto di riferimento, una garanzia di qualità per riconoscere quali dischi NON comprare, simbolo del riccardonismo soft, che preferisce sempre la roba ben suonata, ma tranquilla e rassicurante, senza l’ossessione per la tecnica strumentale. Eppure qualcosa sta cambiando: forse si sarà reso conto dei suoi peccati capitali, starà cercando di espiare, sta di fatto che da un po’ di tempo a questa parte Kenny G ce la sta mettendo tutta, davvero tutta per riqualificarsi agli occhi del mondo. Non si spiegherebbero altrimenti i suoi ultimi exploit: lo abbiamo visto nei panni di ZIO KENNY nel videoclip (eccezionale) di ‘Last Friday Night‘ di Katy Perry ma, soprattutto, nello spot Audi dell’ultimo Superbowl. Chioma fluente anche in uniforme, Kenny G è – rullo di tamburi – il capo degli antisommossa, pronto a spegnere A COLPI DI SAX la rivolta dei detenuti della Luxury Prison (nel caso ve lo steste chiedendo: i “prigionieri del lusso” sarebbero i clienti di case automobilistiche diverse da quella reclamizzata). No, giuriamo che non è uno scherzo: per vedere coi vostri occhi questo capolavoro basta cliccare qui sotto. Sarà il momento migliore della vostra settimana, garantito.

I dischi coi riccioloni in copertina continueremo a non comprarli, però stima imperitura.

Lo dico subito: se esistesse un tribunale preposto al giudizio dei crimini musicali e io fossi in toga, allo smooth jazz l’ergastolo non lo toglierebbe manco l’avvocato Taormina. Musica buona tutt’al più come sottofondo in sala d’aspetto del dentista: sarà che uno l’associa inevitabilmente a trapani, urla belluine e parcelle salate, con quale coraggio poi a casa riesce a mettere un disco di Kenny G (che ha studiato e sa suonare, ci tengo a specificarlo prima che qualche cultore del bello chieda la mia testa)? Tutto questo per dire che il pianista americano Dan Siegel è diventato famoso (si fa per dire) e si è fatto una credibilità all’interno di questa nicchia, cosa che ai miei occhi non dovrebbe rendergli particolari onori (e infatti), tuttavia io ‘On The Edge’ lo adoro. È un po’ come fare coming out (no, è peggio), ma chi non ha una lista corposa di guilty pleasures o scheletri nell’armadio scagli pure il primo disco. A mia parziale discolpa posso dire che ‘On The Edge’ non è smooth jazz “duro e puro” come potreste immaginare, ma si abbevera copiosamente dal più patinato pop/rock della sua epoca (il 1985. Mi rendo conto di come ciò per taluni possa essere un deterrente piuttosto che un’attenuante, ma tant’è). (Continua a leggere)