FREE FALL JAZZ

La giovane Hiromi Uehara è diventata rapidamente uno dei fenomeni mediatici più in vista del jazz contemporaneo. Merito di un investimento promozionale notevole, volto ad esaltare alcuni tratti innegabili della pianista giapponese: la mostruosa padronanza tecnica dello strumento, con un’indipendenza fra le mani davvero incredibile, l’eclettismo, il gusto per l’elettronica, e per finire un look vistoso ma comunque simpatico. Il nuovo album in trio ‘Alive’, messa da parte la sola elettronica, conferma tutte le caratteristiche dello stile Hiromi e ne mette in evidenza il limite maggiore, ovvero l’essere più fumo che arrosto. Va detto che le sezione ritmica non aiuta di certo: il bassista Anthony Jackson fa il suo, ma la batteria di Simon Phillips è piacevole come una trave nell’orecchio, vista l’ottusa fissità e la completa assenza di qualsiasi forma di lavoro su dinamica e timbro. Del resto Phillips è un batterista rock di credenziali inattaccabili, e probabilmente è stato scelto proprio per dare ad ‘Alive’ un taglio rock. Post-bop, bebop, pop, rock, folk, l’influenza dei maestri Chick Corea (molto) e Amahd Jamal (giusto l’approccio defilato e tintinnante esibito in ‘Firefly’), c’è di tutto, ben suonato, ben organizzato, ben registrato, all’insegna di un easy listening di alto livello strumentale e spettacolare.

‘Alive’ si riduce ad un esercizio di dattilografia pianistica in cui temi orecchiabili, abbagliante tecnica e un’apparente trasversatilità stilistica sono gli assi portanti di nove lunghi brani che alla fine suonano fin troppo simili fra loro. Chissà che, più avanti, Hiromi Uehara non metta le sue innegabili doti al servizio di musica più interessante. Per ora, purtroppo, siamo al trionfo del jazz a misura di riccardone.
(Negrodeath)

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