FREE FALL JAZZ

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La giovane Hiromi Uehara è diventata rapidamente uno dei fenomeni mediatici più in vista del jazz contemporaneo. Merito di un investimento promozionale notevole, volto ad esaltare alcuni tratti innegabili della pianista giapponese: la mostruosa padronanza tecnica dello strumento, con un’indipendenza fra le mani davvero incredibile, l’eclettismo, il gusto per l’elettronica, e per finire un look vistoso ma comunque simpatico. Il nuovo album in trio ‘Alive’, messa da parte la sola elettronica, conferma tutte le caratteristiche dello stile Hiromi e ne mette in evidenza il limite maggiore, ovvero l’essere più fumo che arrosto. Va detto che le sezione ritmica non aiuta di certo: il bassista Anthony Jackson fa il suo, ma la batteria di Simon Phillips è piacevole come una trave nell’orecchio, vista l’ottusa fissità e la completa assenza di qualsiasi forma di lavoro su dinamica e timbro. (Continua a leggere)

Il giovane trombettista Theo Croker, nipote di Doc Cheatham nonché protetto di Dee Dee Bridgewater (pure produttrice del disco) e Marcus Belgrave, ci tiene a sottolineare come la sua musica, se proprio vogliamo, è jazz, ma in realtà può essere anche altro vista l’ampiezza del suo background e delle sue influenze ed esperienze. ‘Afrophysicist’ in effetti non è un disco che si lasci incasellare in un semplice scaffale, e presenta una notevole varietà di situazioni. Il jazz di sicuro è presente, perché il modo di suonare di Croker è inconfondibilmente jazzistico, così come la preparazione della sua validissima band. ’Alapa (For Doc)’, dedicata all’illustre nonno, è due minuti di tromba priva di accompagnamento e costruisce un climax magnifico, su cui entra il primo vero brano, ‘Realize’.  (Continua a leggere)

Amato, odiato, discusso, invidiato, riverito, Chick Corea a settantun’anni è ormai un musicista arrivato che, in teoria, non ha più niente da dimostrare a nessuno. La sua carriera, in quasi cinque decadi, ha attraversato molte fasi, ognuna delle quali ha i suoi sostenitori come i suoi detrattori. Il nuovo ‘The Vigil’ lo possiamo vedere, forse, come un tentativo di sintesi di alcuni dei volti più amati del pianista: il post-bop evoluto di fine anni ’60, la fusion degli anni ’70, il pastiche latineggiante, il kitsch populista si ritrovano tutti insieme,  confermati come mattoni fondanti dell’estetica dell’estroso Armando, che con la consueta generosità allestisce un sostanzioso banchetto per i numerosi ammiratori. (Continua a leggere)