FREE FALL JAZZ

Cindy Blackman's Articles

Cindy Blackman è un altro di quei nomi di cui da tempo mi riprometto di parlare a fondo su queste pagine. Qualche accenno qui e lì c’è stato, ma sull’argomento ci torneremo come si deve. Intanto vi basti sapere che la batterista americana, oltre alle dozzine di collaborazioni per le quali è nota (da Lenny Kravitz ai piu recenti Spectrum Road, passando per Sam Rivers e Joe Henderson fino a suo marito Carlos Santana), ha alle spalle una carriera solista di tutto rispetto in ambito jazz, nella quale vale la pena segnalare almeno l’ottimo ‘Telepathy’ (1994).

Inizialmente è stata grande la delusione di non vedere alcuna data italiana in cartellone per il suo tour europeo autunnale, ma alla fine siamo stati accontentati: sabato 26 Ottobre si esibirà al teatro Civico di Tortona (AL). L’evento è organizzato grazie all’impegno di quelli di Arena Derthona, festival che ogni anno si svolge durante l’estate nella cittadina piemontese: l’indirizzo a cui rivolgersi per informazioni è info@arenaderthona.it

Speriamo di esserci anche noi. Se siete in quelle zone lì fateci seriamente un pensiero. (Continua a leggere)

Per “protesta” non userò più di 200 parole.

Mi sta benissimo che qualcuno cerchi di rendere omaggio a Tony Williams, uno dei primi a voler sfumare la linea di confine tra due generi allora ritenuti antipodici come jazz e rock, ma che negli anni è stato talvolta ingenerosamente (e superficialmente) liquidato come Billy Cobham del discount.

Ancora meglio se negli Spectrum Road troviamo uno che con Williams ha scritto pagine importanti, Jack Bruce, e gente degna di stima e devozione come Vernon Reid e Cindy Blackman (il cui ‘Telepathy’ resta per me una delle migliori espressioni post-bop degli anni ‘90), che – con il tastierista John Medeski a chiudere il quadrilatero – si cimentano con un repertorio che attinge dai Tony Williams Lifetime.

Le nuove versioni suonano “gonfiate”, c’è “più tutto”: più volume, più note (autentiche cascate: Vernon Reid, brutto dirlo, a tratti sembra voler fare a gara a chi la fa più lontano con gli originali di McLaughlin), più elettricità. ‘Spectrum Road’, in sostanza, sembra un disco fusion virato prog metal, roba buona per fare colpo su ascoltatori facilmente impressionabili e affascinati dal numero ad effetto.

Qualcosa di piacevole si trova pure, il punto è che spesso less is more. Loro però fanno gli gnorri. (Nico Toscani)

Qualunque consumatore abituale di musica potrà confermarlo senza problemi: comprare un disco a scatola chiusa è un’azione che implica una serie di variabili perversamente affascinanti.  Io, chiaramente, non faccio eccezione e anzi, mi metto in cima alla lista. Un giorno, per esempio, durante il periodico spulciare presso un negozio in cui mi servo, passò davanti ai miei occhi la copertina di ‘Blackened Red Snapper’: “È il tizio che suonava con Lenny Kravitz”, dissi tra me (perché prima che la senilità precoce s’impossessasse di lui, Lenny Kravitz era persino bravo).  Neanche il tempo di finire il pensiero che già ero immerso per l’ennesima volta nel solito, amletico dubbio: comprarlo o lasciarlo lì? A convincermi ci pensarono il prezzo più o meno irrisorio, il fatto che nella backing band di Kravitz ci avessi già scoperto a suo tempo l’ottima Cindy Blackman (hai visto mai fosse buona palestra?) e, non ultimo, l’impeto di nostalgia dettato dalla visione di un bollino SIAE di quelli blu (altra fisima che risulterà empatica giusto a una ristretta cerchia di musicofili nerd che hanno varcato da un pezzo il punto di non ritorno). Il tempo di tornare a casa ed esaminarlo un attimo con più cura che già arriva il primo segnale sconfortante: sul disco suona John Patitucci. Lungi da me sminuire le capacità tecniche di uno dei più quotati bassisti al mondo, ma, mentre la mia schiena era percorsa dai brividi, una domanda si faceva inesorabilmente strada: vuoi vedere che è roba da riccardoni?”  (Continua a leggere)