Durante le ferie la voglia di scrivere recensioni è al minimo storico, ma un po’ di news invece costano poco sforzo e pure qui da bordo piscina, con poco disagio, è possibile poggiare il mojito e farsi portare il tablet da una prosperosa assistente per digitare qualcosina. (Continua a leggere)
Il genio di Wayne Shorter, in questi giorni, è oggetto di meritate celebrazioni. Nell’appena trascorso fine settimana si è infatti tenuto al Lincoln Center un concerto con l’orchestra di Wynton Marsalis: molti classici del grandissimo sassofonista, compositore e improvvisatore sono stati riletti sotto una luce nuova dall’orchestra, con cui Shorter ha dialogato proficuamente – per una cronaca dell’evento, vi rimandiamo alla recensione del New York Times, sperando prima o poi di trovarne il video su YouTube. Nel frattempo, ci possiamo gustare il quartetto Shorter/Perez/Patitucci/Blade in un bel concerto al festival di Marciac.
Qualunque consumatore abituale di musica potrà confermarlo senza problemi: comprare un disco a scatola chiusa è un’azione che implica una serie di variabili perversamente affascinanti. Io, chiaramente, non faccio eccezione e anzi, mi metto in cima alla lista. Un giorno, per esempio, durante il periodico spulciare presso un negozio in cui mi servo, passò davanti ai miei occhi la copertina di ‘Blackened Red Snapper’: “È il tizio che suonava con Lenny Kravitz”, dissi tra me (perché prima che la senilità precoce s’impossessasse di lui, Lenny Kravitz era persino bravo). Neanche il tempo di finire il pensiero che già ero immerso per l’ennesima volta nel solito, amletico dubbio: comprarlo o lasciarlo lì? A convincermi ci pensarono il prezzo più o meno irrisorio, il fatto che nella backing band di Kravitz ci avessi già scoperto a suo tempo l’ottima Cindy Blackman (hai visto mai fosse buona palestra?) e, non ultimo, l’impeto di nostalgia dettato dalla visione di un bollino SIAE di quelli blu (altra fisima che risulterà empatica giusto a una ristretta cerchia di musicofili nerd che hanno varcato da un pezzo il punto di non ritorno). Il tempo di tornare a casa ed esaminarlo un attimo con più cura che già arriva il primo segnale sconfortante: sul disco suona John Patitucci. Lungi da me sminuire le capacità tecniche di uno dei più quotati bassisti al mondo, ma, mentre la mia schiena era percorsa dai brividi, una domanda si faceva inesorabilmente strada: “vuoi vedere che è roba da riccardoni?” (Continua a leggere)