FREE FALL JAZZ

Jimmy Fontana's Articles

Ho “conosciuto” Jimmy Fontana poco più di un anno fa, forse un anno e mezzo. Abbiamo scambiato qualche riga via mail concordando una possibile intervista. “Considerami a tua completa disposizione”, mi disse, gentilissimo, confermando una passione sentita e sincera.

Non sono in molti a saperlo, ma prima dei ben noti successi nel campo della musica leggera, Jimmy Fontana era cresciuto nella sua Macerata (a Camerino, per la precisione) appassionandosi ai grandi del jazz d’oltreoceano. All’anagrafe si chiamava Enrico Sbriccoli, e proprio ad uno dei suoi idoli, Jimmy Giuffre, si ispirò quando fu il momento di scegliere un nome con cui proporsi al pubblico. In quegli anni pionieristici Jimmy Fontana, contrabbassista autodidatta ancor prima che cantante, diede il suo contributo alla diffusione del jazz nel nostro paese, esibendosi con diverse formazioni anche dopo il suo trasferimento nella capitale, che lo vide passare nelle fila della Roman New Orleans Jazz Band, tra le altre.

Avremmo dovuto rievocare quei giorni, nell’intervista. Io nel frattempo avevo anche iniziato a scrivere un articolo da pubblicare a corredo, incentrato sulle sue incisioni jazz (almeno quelle in mio possesso), ma lui nel frattempo smise di farsi sentire e la paventata chiacchierata non andò mai in porto. Stasera tutti i canali d’informazione parlano della sua scomparsa, annunciandolo come “malato da tempo”: ovviamente non lo sapevo  (notizie trapelate dopo l’iniziale redazione di queste righe smentiscono la lunga malattia. La sostanza però, purtroppo, non cambia). Per un attimo il mondo, almeno il mio, si è fermato davvero, se mi concedete la parafrasi ruffiana e facilona di quel suo grande successo.

Magari su quegli anni jazz ci torneremo: sarà di certo il modo migliore per ricordarlo. Mi piace credere che sia d’accordo anche lui. (Nico Toscani)

Marc Rossi oggi insegna al Berklee. I più attenti forse lo conosceranno per le sue incisioni da leader col Marc Rossi Group o per i sei anni di militanza come pianista della Living Time Orchestra di George Russell verso la fine degli ’80. Non molti sanno però che sulle spalle ha un peccato bello grosso da farsi perdonare. Nei primi anni ’80, durante i suoi studi al conservatorio del New England, fu infatti lui a passare una cassetta dei Weather Report a uno dei suoi insegnanti: Jimmy Giuffre.

Giuffre, dopo il fallimento commerciale del fenomenale trio con Steve Swallow e Paul Bley, aveva mantenuto un profilo piuttosto basso nei ’60 e nei ’70, pubblicando una manciata di dischi, ma dedicandosi soprattutto all’attività di insegnamento. Galeotta fu quella cassetta dei Weather Report: l’autore di ‘Free Fall’ si sentì stimolato al punto da mettere insieme un gruppo per elaborare la sua visione di quella musica. In particolare, ad attirare la sua attenzione era il ruolo del basso elettrico (in sostituzione del “vecchio” contrabbasso), presto affidato al giovane Bob Nieske, anch’egli studente del New England Conservatory; lo stesso Rossi si occupava inizialmente di piano e tastiere prima di essere sostituito da Pete Levin, con il percussionista Randy Kaye a completare il quadrilatero. Il sodalizio fruttò tre dischi per l’italiana Soul Note, attentissima nonostante il nome di Giuffre in quegli anni fosse tutt’altro che “di tendenza”. (Continua a leggere)

Anche questo mese le statistiche di Google sono alquanto gustose. In primis scopriamo che un sacco di gente cerca FREE FALL BLOG, il che vuol dire che qualcuno ci cerca apposta per (presumo) leggerci, e dunque possiamo bullarci di ciò. In secundis (cit.) è bello notare che l’immarcescibile Jimmy Fontana si prende ancora un bel tot di ricerche (la più gettonata, al solito, è IL MONDO NON SI È FERMATO MAI UN MOMENTO). (Continua a leggere)


Ah, se non ci fosse Google… Ah, ma come si faceva prima, senza Google… Io, personalmente, usavo Excite. Non so manco se esiste ancora. E quando Internet Explorer s’inchiodava navigavo con Netscape. Non so manco se esiste ancora. Il bello di Google (e, in teoria, di ogni altro motore di ricerca) è la sua natura orwelliana, il suo registrare tutto di tutti. Registrazioni che, purtroppo, arrivano a noi in forma più o meno anonima: se i log di Google fossero un video, sarebbero uno di quelli coi visi quadrettati e le voci alterate per assomigliare a quella di Eddie Murphy. E insomma, in quasi tre mesi di Free Fall Jazz un bel po’ di gente è capitata sulle nostre pagine digitando qualcosa su Google, e molto spesso si tratta di chiavi di ricerca su cui, scommettiamo, i navigatori preferirebbero mantenere un certo riserbo. Ma potevamo noi restare omertosi davanti a cotanto ben di Dio? Ovviamente no, e quindi vi beccate questo piccolo regalino post-natalizio che speriamo sia capostipite di una cospicua serie. (Continua a leggere)


Ah, se non ci fosse Google… Ah, ma come si faceva prima, senza Google… Io, personalmente, usavo Excite. Non so manco se esiste ancora. E quando Internet Explorer s’inchiodava navigavo con Netscape. Non so manco se esiste ancora. Il bello di Google (e, in teoria, di ogni altro motore di ricerca) è la sua natura orwelliana, il suo registrare tutto di tutti. Registrazioni che, purtroppo, arrivano a noi in forma più o meno anonima: se i log di Google fossero un video, sarebbero uno di quelli coi visi quadrettati e le voci alterate per assomigliare a quella di Eddie Murphy. E insomma, in quasi tre mesi di Free Fall Jazz un bel po’ di gente è capitata sulle nostre pagine digitando qualcosa su Google, e molto spesso si tratta di chiavi di ricerca su cui, scommettiamo, i navigatori preferirebbero mantenere un certo riserbo. Ma potevamo noi restare omertosi davanti a cotanto ben di Dio? Ovviamente no, e quindi vi beccate questo piccolo regalino post-natalizio che speriamo sia capostipite di una cospicua serie. (Continua a leggere)

L’errore più comune, che porta alla puntuale e criminosa sottovalutazione di Jimmy Giuffre, è considerarlo solo come uno tra i tanti sassofonisti dell’ondata west coast degli anni ’50. Per carità, le sue radici sono esattamente quelle: come Stan Getz si è fatto le ossa nella big band di Woody Herman (della cui sezione fiati era arrangiatore), a lungo ha fatto anche da sideman a Shorty Rogers, ma è sufficiente un ascolto più attento per convincersi che un’eventuale reputazione da Gerry Mulligan di serie B sarebbe quantomeno ingrata. Già nei suoi dischi degli anni ’50 Giuffre si mostrava insofferente al giogo della west coast e del cool jazz, declinazioni che provava a ravvivare giocando da una parte con sonorità folk e blues e dall’altra con la sua passione per la classica, Debussy in particolare (dalla cui ‘Sonata per flauto, viola e arpa’ si dichiarava ispirato in occasione di ‘The Jimmy Giuffre 3’, esordio del 1956). Molteplici erano i suoi tentativi di oltrepassare gli steccati: si pensi alla partecipazione, nel 1954, al pionieristico ‘The Three & The Two’ di Shelly Manne (sperimentazione proto-free a lungo incompresa) o ancora all’atipico trio col chitarrista Jim Hall e il trombonista Bob Brookmeyer, che rinnegava strumenti ritenuti imprescindibili come batteria, piano e contrabasso (trio che in versione leggermente più “canonica”, col contrabbassista Buddy Clark al posto di Brookmeyer, fu protagonista addirittura di una calata dalle nostre parti, al teatro Adriano di Roma, nel 1959). (Continua a leggere)

L’idea originale era piuttosto semplice: uno spazio per consigliare vecchi dischi passati per un motivo o per l’altro sotto silenzio. Da lì poi ci siamo lasciati prendere la mano: perché limitarci solo al, pur ottimo, vecchiume? E allora via i paletti ed ecco Free Fall.

“Free” perché tendiamo a non essere incravattati, ingessati e/o pretenziosi, ma anche perché scriviamo più o meno quel che ci pare quando ci pare (purché abbia una minima attinenza con jazz e dintorni), senza essere costretti a stare necessariamente sul pezzo.

“Fall” perché così il titolo è direttamente ispirato a un album che da queste parti apprezziamo particolarmente.

E poi Jimmy Giuffre era tanto amato anche da quest’uomo qui, che proprio a lui s’ispirò per scegliersi il nome di battaglia: un motivo in più.

Perché il jazz non inizia con ‘Kind Of Blue’ e non finisce con ‘A Love Supreme’.