FREE FALL JAZZ

Amato, odiato, discusso, invidiato, riverito, Chick Corea a settantun’anni è ormai un musicista arrivato che, in teoria, non ha più niente da dimostrare a nessuno. La sua carriera, in quasi cinque decadi, ha attraversato molte fasi, ognuna delle quali ha i suoi sostenitori come i suoi detrattori. Il nuovo ‘The Vigil’ lo possiamo vedere, forse, come un tentativo di sintesi di alcuni dei volti più amati del pianista: il post-bop evoluto di fine anni ’60, la fusion degli anni ’70, il pastiche latineggiante, il kitsch populista si ritrovano tutti insieme,  confermati come mattoni fondanti dell’estetica dell’estroso Armando, che con la consueta generosità allestisce un sostanzioso banchetto per i numerosi ammiratori. Con una tremenda copertina fra ‘Romantic Warrior’ e i dischi dei Rhapsody, ‘The Vigil’ si apre col sinistro-destro di ‘Galaxy 32 Star 4′ e ‘Planet Chia’: il primo un brano ricco di percussioni e swing elastico su cui spiccano i fastidiosi synth del leader e la chitarra di Charles Altura, vicino ad Allan Holdsworth, il secondo un numero interamente acustico che gronda di latinidad cartolinesca, con chitarra flamencata e liquorosi contrappunti di sax soprano (Tim Garland, come tutti i fiati). ‘Portals To Forever’ si avvale di ritmi brasiliani (strepitosa la prova di Marcus Gilmore e Pernell Saturnino, batteria e percussioni), ma keys & chitarra elettrica spingono il tutto verso le sgradevoli levigatezze dell’Elektric Band. ‘Pledge For Piece’ recupera un po’ le atmosfere del magnifico ‘Tones For Joans’ Bones’ e dura diciotto minuti, dieci dei quali di troppo: il lungo assolo di Ravi Coltrane, in questo pezzo dedicato al di lui illustre padre, non si lega affatto alla prima parte di un brano che suona come un frankenstein fra due composizioni diverse. Ma il peggio arriva con ‘Outside Of Space’, cantata da Gayle Moran Corea (moglie di Chick) e talmente pacchiana che un duetto con Freddie Mercury non sarebbe affatto fuori luogo.

Che altro aggiungere? ‘The Vigil’ è un esercizio di gigantismo. L’impressione è che Corea voglia sempre e comunque stupire senza in fondo dire niente. Soprattutto, con una tendenza alla logorrea e al suono riccardone di cui faremmo volentieri a meno. A qualcuno basterà. Altri preferiranno rimetter su ‘Tones For Joan’s Bones’.
(Negrodeath)

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