FREE FALL JAZZ

Luigino's Articles

Cosa oggi può essere definito nello scenario contemporaneo della musica improvvisata “avanguardia” o “musicalmente avanzato” e secondo quali schemi critici e culturali di riferimento lo si afferma? (Continua a leggere)

Ci sono radici musicali che sanno “parlare” americano come poche altre e che probabilmente solo i musicisti americani sanno affrontare con adeguata idiomaticità e consapevolezza culturale. Ciò in barba a certe diffuse tesi critiche odierne che fanno della supposta universalità del linguaggio musicale improvvisato una delle loro basi. Ossia, si lascerebbe intendere che qualunque musicista sparso per il mondo possa approcciare certo peculiare materiale musicale con la medesima abilità e proprietà linguistica di chi può frequentarlo alla fonte, per identità culturale e condivisione geografica. Eppure si potrebbe invitare chiunque all’ascolto di un gospel o un blues, solo ad esempio, per cogliere le notevoli differenze tra quelli interpretati da un europeo piuttosto che da un afro-americano. (Continua a leggere)

30 eventi, oltre 100 artisti coinvolti: dal 19 al 26 marzo torna Bergamo Jazz, prestigioso evento musicale per la seconda volta affidato alla Direzione Artistica del musicista americano Dave Douglas, ad ulteriore testimonianza del respiro internazionale che da sempre è nel DNA del Festival. Internazionale, di conseguenza, e con una significativa presenza femminile, il cast allestito dal celebre trombettista newyorkese, la cui simpatia ha letteralmente conquistato lo scorso anno il pubblico accorso da ogni parte d’Italia e anche dall’estero per salutarne l’entrata nella squadra di Bergamo Jazz. (Continua a leggere)

Il linguaggio musicale possiede caratteristiche tali da renderlo particolarmente adatto ed efficace ad affrontare una molteplicità di temi e sentimenti umani, utilizzando modalità espressive estremamente variegate. Il jazz ha sin dalle sua fondamenta potuto godere di un così vasto intreccio di contributi, tale da permettere al musicista di turno di affrontare certi temi con una flessibilità e trasversalità di culture e di discipline artistiche difficilmente riscontrabili in altri ambiti. (Continua a leggere)

Questo scritto è stato pubblicato su Musica Jazz di febbraio dello scorso anno e qui presentato, come già in altre occasioni analoghe, nella sua forma originaria, completo ove possibile di link musicali e riferimenti discografici inseriti nel testo. Ringraziamo il direttore di Musica Jazz Luca Conti per l’assenso informale alla pubblicazione.

Buona lettura

R.F.

Siamo in un periodo storico nel quale spesso si parla, a volte anche abusandone, di “contaminazioni”, per sottolineare una tendenza attuale del jazz e delle musiche improvvisate più in generale, alla fusione di una molteplicità di linguaggi musicali, anche geograficamente distanti e profondamente diversi tra loro. Pensando però bene al significato del termine, ci si rende conto che esso viene utilizzato ad esempio nelle scienze naturali per indicare la presenza di un agente inquinante verso un supposta “purezza” ambientale. Applicarlo ad un linguaggio musicale, e nel caso specifico al contesto jazzistico, può essere quanto meno contraddittorio, poiché il jazz, per sua natura e per sua stessa genesi, è una forma musicale intrinsecamente “spuria”, la cui forza propulsiva e innovatrice si è sempre manifestata proprio dall’incontro non artificioso tra etnie e relative culture musicali. (Continua a leggere)

Ci sono luoghi comuni nella critica jazz nostrana che paiono servire più a farsi accettare dal “branco” che a qualificarsi per competenze in materia. Ciò succede per diverse ragioni che qui non possiamo seriamente analizzare, ma la principale delle quali pare andare oltre il jazz ed essere legata alla diffusa abitudine nel nostro paese di conformarsi a certo sentire comune, se non ad un vero e proprio pensiero unico. Curioso atteggiamento questo da mostrare verso una musica che ha fatto storicamente dell’anticonformismo una sua ragion d’essere. La radice autentica del problema temo però che sia da ricercare in un ambiente intorno a questa musica decisamente invecchiato, divenuto troppo ristretto, autoreferenziale e fermo a schemi critici che paiono ormai abbondantemente superati e sostanzialmente fallaci, nonostante si pretenda di farli sembrare ancora “aggiornati”. (Continua a leggere)

E’ ormai divenuta una tradizione la presentazione dello storico festival bergamasco alla vigilia delle feste natalizie, avvenuta giusto sabato scorso e che ha visto la presenza in sala di musicisti, associazioni culturali, critica e giornalismo di settore nazionale e provinciale in ascolto della direzione artistica, dell’assessore alla cultura del Comune di Bergamo, del responsabile del servizio gestione Teatri Comunali e del responsabile Ufficio Stampa. (Continua a leggere)

Ci sono stati dei momenti nella storia del jazz nei quali certi musicisti hanno perfezionato una tale alchimia da raggiungere risultati musicali persino superiori al contributo, pur eccezionale, dei singoli. Agli appassionati di lunga data sono noti i casi degli Hot Five di Louis Armstrong, o  degli small combos di Benny Goodman, tanto per citare, mentre ai cultori più recenti verranno alla mente probabilmente i quintetti di Miles Davis o il quartetto anni ’60 di John Coltrane. In tutti questi casi si sono prodotti dei capolavori senza tempo che hanno contribuito a rendere così grande questa musica. Molto meno citato è però il caso della musica prodotta dal quintetto di Joe Henderson con Woody Shaw alla tromba, due improvvisatori eccezionali per preparazione, talento e visione, che nel 1970 produssero queste registrazioni capolavoro e che nulla avevano da invidiare a ciò che hanno prodotto i suddetti gruppi, sotto ogni punto di vista. (Continua a leggere)

La scena della musica improvvisata israeliana da diverso tempo può essere considerata seconda solo a quella americana, ma per ragioni quantitative, non certo per quelle qualitative. (Continua a leggere)

Dopo l’apertura della XXXIIª stagione di Aperitivo in Concerto affidata al SF Jazz Collective al debutto in Italia, il palco del Teatro Manzoni ospita un altro superbo e modernissimo ensemble, guidato dal trombonista israeliano Avi Lebovich. Domenica 13 novembre, 11 musicisti di rilievo sulla scena internazionale accompagnano il leader Lebovich che ospita un connazionale pianista d’eccezione, l’acclamato compositore Omer Klein. (Continua a leggere)

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