Ci sono radici musicali che sanno “parlare” americano come poche altre e che probabilmente solo i musicisti americani sanno affrontare con adeguata idiomaticità e consapevolezza culturale. Ciò in barba a certe diffuse tesi critiche odierne che fanno della supposta universalità del linguaggio musicale improvvisato una delle loro basi. Ossia, si lascerebbe intendere che qualunque musicista sparso per il mondo possa approcciare certo peculiare materiale musicale con la medesima abilità e proprietà linguistica di chi può frequentarlo alla fonte, per identità culturale e condivisione geografica. Eppure si potrebbe invitare chiunque all’ascolto di un gospel o un blues, solo ad esempio, per cogliere le notevoli differenze tra quelli interpretati da un europeo piuttosto che da un afro-americano. Una cosa del genere probabilmente può valere anche con la musica country, altro materiale tipico americano che, non a caso, è l’oggetto di elaborazione in chiave jazz di questo eccellente recente lavoro di John Scofield che ha già ricevuto riconoscimenti come ben due Grammy Award.
L’utilizzo di tale materiale nel jazz non è certo una novità (basti pensare cosa seppe farne ai tempi Ray Charles in dischi come Modern Sound in Country and Western Music, ma potrei citare altri esempi tra jazzisti bianchi, come Jimmy Giuffre, che si sono ispirati in talune opere alla musica folk americana) come non è cosa inedita tra i chitarristi del jazz. Il quasi coevo Bill Frisell ha focalizzato sin dai tempi della pubblicazione nel 1996 di Nashville (Nonesuch) la propria attenzione sulle radici della musica bluegrass e country, seppur fortemente venata di “Americana”. Tuttavia quel lavoro ricevette al tempo un’accoglienza tiepida da parte dei jazzofili, mentre ho l’impressione che la versione contenuta in questo Country For Old Men, decisamente più riportata nell’alveo del jazz da Scofield con grande abilità e pertinenza, riceverà quasi certamente miglior accoglienza. Per quel che mi può riguardare, non ho alcuna difficoltà a preferirla, poiché il disco mi è molto banalmente piaciuto, soprattutto per il brio ritmico che Scofield ha saputo immettere in un tipo di musica che sotto tale aspetto, mi è sempre parsa relativamente debole e tendente alla monotonia. Indubbiamente deve aver contato in Scofield oltre al suo solidissimo background jazzistico anche quello relativo alle approfondite esperienze nel campo del blues e del R&B.
Il titolo sottintende un intreccio di riferimenti tra un noto film dei fratelli Coen del 2007 e la matura età di 64 anni raggiunta dal chitarrista, mentre il contenuto del disco descrive un evidente atto d’amore per la musica di cantautori come George Jones, Hank Williams, Merle Haggard, Dolly Parton e Bob Wills, ma è inequivocabilmente un disco nel quale lo swing e la pronuncia jazzistica certo non mancano e Scofield riconferma qui la statura del grande jazzista e chitarrista che sa dare un tocco di originalità e di classe anche a tal genere di materiale.
La compagnia che si è scelto è affiatatissima e di prim’ordine, composta dai fidi Steve Swallow al basso e Bill Stewart alla batteria, con l’aggiunta di un convincente Larry Goldings all’organo Hammond e pianoforte.
Il disco si apre con Mr.Fool, una canzone country di George Jones/ Darrell Edwards/ Herbie Treece del 1959 tinta d gospel, ma suonata in modo relativamente fedele. Le cose mutano in modo inaspettato con il successivo I’m So Lonesome I Could Cry di Hank Williams, in una versione pienamente jazzistica, ritmicamente dinamica e swingante (con un solo di Scofield che lo ha portato a vincere il grammy nella sezione “best improvised jazz solo”). Non poteva poi mancare una canzone del cantautore James Taylor, il cui Bartender Blues, (inciso nel 1977 e forse suggerito da Goldings, diventato negli ultimi anni direttore musicale e tastierista di Taylor), gode di un indovinato trattamento da ballata. Ci sono poi in scaletta due noti temi della tradizione folk americana come Wayfaring Stranger e Red River Valley, questa in versione prossima al rock’n roll.
L’originale interpretazione del quartetto in Mama Tried di Merle Haggard vede Larry Goldings in evidenza al pianoforte, mentre Jolene, proveniente da un album di Dolly Parton del 1973, viene trasformata utilizzando un tempo ternario in modalità prossima a quella che avrebbe proposto anche Pat Metheny con simile materiale tematico.
Le mie personali preferenze sono per due brani melodici verso la chiusura del disco: Faded Love di Bob Wills e You’re Still The One, un bel tema di Shania Twain e John Robert Lange reso magnificamente da Scofield, in grado di dare un coinvolgente tocco nostalgico all’enunciato e di eseguire un assolo stringato ed efficacissimo, da autentico maestro del jazz. Chiusura iper sintetica con trenta secondi del vecchio I’m An Old Cowhand di Johnny Mercer ma di inevitabile rollinsiana memoria per qualsiasi jazzofilo che si rispetti. Disco da avere.
(Riccardo Facchi)