FREE FALL JAZZ

Wayne Shorter's Articles

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E parecchio che non recensisco incisioni del passato che meritano una adeguata riscoperta. Solitamente lo faccio solo per i grandi capolavori. Questo Shorter by Two inciso da due pianisti, in teoria non di primissima fascia ma bravissimi, come Kirk Lightsey e Harold Danko, e dedicato integralmente alle composizioni di Wayne Shorter, se non è un capolavoro, poco ci manca. Da un po’ di tempo mi sto convincendo che, al di là di più o meno libere e apprezzabili improvvisazioni e virtuosismi vari, per fare degli ottimi dischi di jazz, di qualsiasi ambito stilistico essi siano, anche il più avanzato, occorra l’utilizzo di eccellente materiale compositivo, sia che si tratti di proprie composizioni o di quelle altrui. Non è certo condizione sufficiente ma è probabilmente necessaria. (Continua a leggere)

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 L’influenza di Wayne Shorter in veste di improvvisatore sulle più recenti generazioni di sassofonisti è vasta ed evidente. Il suono, il senso del ritmo, il fraseggio e la scelta delle note lo identificano facilmente e lo caratterizzano per originalità ed ingegno. (Continua a leggere)

Questo breve testo nasce da una serie di incomplete annotazioni sull’accoglienza riservata ad alcune strutture linguistiche nate in seno al jazz ma annoverate e criticate come spurie. Trattasi, perciò, di nient’altro che spunti e frammenti che verranno approfonditi in altro scritto.

Mi sono di recente trovato a rileggere un lontano scritto di Franco Pecori pubblicato da Jazz From Italy nella sua pagina Facebook: Nessun’arte, e nemmeno la musica, è mai pura; questo è un equivoco idealistico. Altrimenti, non si capirebbe la nascita e la relativa fioritura della dodecafonia proprio nella Vienna degli anni tra le due guerre; e neanche si capirebbe l’esplosione del free negli anni Sessanta, in un tipo di società impostata sull’imperialismo economico, seriamente minata dall’alienazione dei consumi e lacerata da profondi contrasti razziali. Mi ha provocato non poche perplessità l’idea di “inevitabilità” (un sotto-prodotto del progresso in senso marxiano), come se, in fondo, esista un Fato (o una giustizia storica o una qualsiasi logica ferrea e stringente) che cerchi di controbilanciare con le sue azioni altre azioni ancora, prodotte da se stesso o da un altro Fato avverso, o da altra logica umana o cosmica. (Continua a leggere)

Per festeggiare gli ottant’anni di Wayne Shorter, il trombettista David Weiss aveva assemblato una all star band con cui reinterpretare in maniera originali brani del sassofonista e compositore di Newark. In questo filmato vediamo ‘Endangered Species’ e ‘Prometheus Unbound’ affidati alle cure, fra gli altri, di Geri Allen, dei gemelli Strickland, di Ravi Coltrane, di Jeremy Pelt. Al contrabbasso Dwayne Burno in una delle sue ultime apparizioni.


Il genio di Wayne Shorter, in questi giorni, è oggetto di meritate celebrazioni. Nell’appena trascorso fine settimana si è infatti tenuto al Lincoln Center un concerto con l’orchestra di Wynton Marsalis: molti classici del grandissimo sassofonista, compositore e improvvisatore sono stati riletti sotto una luce nuova dall’orchestra, con cui Shorter ha dialogato proficuamente – per una cronaca dell’evento, vi rimandiamo alla recensione del New York Times, sperando prima o poi di trovarne il video su YouTube. Nel frattempo, ci possiamo gustare il quartetto Shorter/Perez/Patitucci/Blade in un bel concerto al festival di Marciac.


Già, proprio così, comincia fra pochi minuti, con Herbie Hancock, Marcus Miller, Al Jarreau, Wayne Shorter, Dianne Reeves, Dee Dee Bridgewater, Rudy Perez, Terri Lyne Carrington, Dhafer Youssef, Femi Kuti, Ben Williams, John Beasley, Hugh Masekela, Till Bronner, Claudio Roditi, A Bu, Gregoire Maret, Lee Ritenour, Mino Cinelu, Igor Butman, Antonio Farao, Guillaume Perret e molti altri. Un bel modo per celebrare ed eventualmente passare la serata, no?


C’è chi preferisce la Verve, chi la Savoy, chi la Impulse e chi la ACT (tipo Martino Spreafico), ma se c’è una casa discografica che nell’immaginario comune è sinonimo di jazz, quella è la Blue Note. (Continua a leggere)

In breve: un Giovane Sassofonista scatena un flame pazzesco, lo scorso febbraio, sparando a zero su Wayne Shorter dal suo account Facebook. Qui trovate le sue argomentazioni con una convincente demolizione delle stesse, così non la facciamo noi, e qui lo stesso ma in video. (Continua a leggere)

Uscirà nel 2014 ‘Wayne Shorter: Zero Gravity’, un documentario sul grande sassofonista e compositore. I lavori sono cominciati del 2006 e oggi siamo alla fase di post-produzione. E’ possibile tuttavia contribuire con un’offerta per finanziare la fine dei lavori, con bonus che vanno dal proprio nome fra i finanziatori e uno stream esclusivo della prima, fino al piatto super iper mega maxi (riservato ad università etc) che prevede una masterclass di Wayne. Trovate tutte le indicazioni qui, assieme ad un teaser.

Non c’è dubbio che la collaborazione con Danilo Perez, John Patitucci e Brian Blade abbia ridato slancio e creatività a Wayne Shorter. Questa formazione è ormai in giro da quasi quindici anni e si è ben rodata con un gran numero di concerti e una discografia esigua, ma di tutto rispetto. ‘Without A Net’ è l’ultimo capitolo, nuovamente registrato dal vivo, e testimonia lo splendido stato di forma del grande sassofonista di Newark, uno degli ultimi titani del jazz ancora in attività. Ricapitolando, abbiamo quattro musicisti affiatati e avventurosi che ormai si conoscono a menadito e sono ancora capaci di sorprendere e lanciarsi con disinvoltura in acrobazie “senza rete”: difficile, a questo punto, mancare il bersaglio. Naturalmente quel marchio di fabbrica fatto di temi allusivi, atmosfere cariche di incertezza e mistero, melodia obliqua e sviluppi sorprendenti, è ben presente per tutto il cd, sia nelle rivisitazioni di materiale già noto sia fra gli inediti. (Continua a leggere)