Già, proprio così, comincia fra pochi minuti, con Herbie Hancock, Marcus Miller, Al Jarreau, Wayne Shorter, Dianne Reeves, Dee Dee Bridgewater, Rudy Perez, Terri Lyne Carrington, Dhafer Youssef, Femi Kuti, Ben Williams, John Beasley, Hugh Masekela, Till Bronner, Claudio Roditi, A Bu, Gregoire Maret, Lee Ritenour, Mino Cinelu, Igor Butman, Antonio Farao, Guillaume Perret e molti altri. Un bel modo per celebrare ed eventualmente passare la serata, no?
Avevo pensato di aprire queste righe con un’introduzione tipo “Sabato sera ho visto il jazz. Il suo nome è Benny Golson”: pomposa quanto volete, ma, vi giuro, neanche troppo lontana dalla realtà. Di concerti (non solo jazz) ne ho visti tanti, ma davvero pochi sono quelli in cui lo spettacolo sul palco è capace di coinvolgere per tutto il tempo senza punti morti e, soprattutto, di lasciarti sulle labbra un sorriso a 32 denti, misto di divertimento e soddisfazione. Benny Golson ci è riuscito. E ci è riuscito perché sul palco il primo a divertirsi, forse anche più di noi, è lui stesso. Quelle assi le calca con l’entusiasmo del primo giorno: lo scruti un paio di minuti ed è chiarissimo che a lui piace stare lì e non desidera altro. (Continua a leggere)