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Jeremy Pelt's Articles

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La molteplicità dei concerti previsti nelle diverse sedi sparse per la città, mi ha reso impossibile quest’anno l’ascolto esaustivo delle varie esibizioni, rendendo difficile poter fare un realistico consuntivo di questa 40a edizione del Bergamo Jazz Festival, chiuso domenica sera al Teatro Creberg (posto in periferia della città, di rimpiazzo all’usuale Teatro Donizetti in centro città, attualmente in restauro) con il concerto dei quattro direttori alternatisi dal 2006 alla guida artistica della manifestazione. In questo senso, ho dovuto operare un’inevitabile selezione, con una scelta a priori alla fine caduta su complessivi otto concerti. (Continua a leggere)

Esordio in grande stile per Victor Gould, giovane pianista con un curriculum da accompagnatore già di tutto rispetto. Alla guida di una formazione variabile che gira attorno ad una sezione ritmica deluxe, completata da Ben Williams (basso) e EJ Strickland (batteria), Gould si mette alla prova come compositore, arrangiatore e ovviamente improvvisatore. ‘Clockwork’ significa ingranaggio, ed è un termine appropriato per descrivere un gruppo in cui ogni musicista trova la perfetta collocazione nel sound d’insieme, ed un album attentamente studiato nel suo percorso narrativo e sonoro, al punto che a tratti sembra quasi di ascoltare un’unica suite.Una frontline mozzafiato (Jeremy Pelt, Myron Walden, Godwin Louis), l’aggiunta del percussionista Pedrito Martinez, di un flauto (Anne Drummond) e di un quartetto d’archi caratterizzano in modo diverso le complesse composizioni dell’album. (Continua a leggere)

Il nome potrebbe far pensare al Black Arts Movement di Amiri Baraka, il ramo artistico del movimento Black Power degli anni ’60, e forse non è una scelta casuale. Il Black Art Jazz Collective, nato nel 2012, è un collettivo, nella forma di sestetto che comprende musicisti ben noti nel panorama newyorkese e americano: Jeremy Pelt (tromba), Wayne Escoffery (sax), James Burton (trombone), Xavier Davis (piano), Vincente Archer (contrabbasso) e Jonathan Blake (batteria). (Continua a leggere)

Ormai prossimo ai 40 anni e quindi alla piena maturità umana ed artistica, Jeremy Pelt è da tempo considerabile uno dei trombettisti di punta nel mondo del jazz, per quanto la scena attuale non sia certo priva di giovani rampanti, afro-americani e non, che possono tranquillamente competere con lui: da Ambrose Akinmusire a Christian Scott, da Sean Jones a Marquis Hill, da Etienne Charles a Jason Palmer, da Avishai Cohen a Adam O’Farrill, da Keyon Harrold a Maurice Brown, tutti nomi di talento, per lo più poco frequentati nel nostro paese perché vengono mediamente trascurati dai cartelloni festivalieri nazionali, occupati usualmente da nomi sin troppo inflazionati quanto musicalmente esausti. Nativo del Sud della California e diplomatosi al Berklee College of Music di Boston, egli è in realtà da tempo in pianta stabile a New York City, luogo imprescindibile per qualsiasi musicista voglia affermarsi professionalmente negli States. (Continua a leggere)

Per festeggiare gli ottant’anni di Wayne Shorter, il trombettista David Weiss aveva assemblato una all star band con cui reinterpretare in maniera originali brani del sassofonista e compositore di Newark. In questo filmato vediamo ‘Endangered Species’ e ‘Prometheus Unbound’ affidati alle cure, fra gli altri, di Geri Allen, dei gemelli Strickland, di Ravi Coltrane, di Jeremy Pelt. Al contrabbasso Dwayne Burno in una delle sue ultime apparizioni.