Negli ultimi anni si è parlato in lungo e in largo di Robert Glasper sulla scia dei due ‘Black Radio’, invero piuttosto deboli. In realtà il texano aveva dimostrato il suo talento altrove, nei due album in trio e nelle molte collaborazioni come sideman. Oggi ‘Covered’, registrato dal vivo ai Capitol Studios di Los Angeles di fronte ad un piccolo pubblico, tira le fila del discorso: ricostruisce il trio con i fidati Vincente Archer (contrabbasso) e Damion Reid (batteria), rilegge in chiave acustica alcuni estratti dai ‘Black Radio’ e aggiunge al mix pure qualche canzone contemporanea ed un evergreen come ‘Stella By Starlight’. Il pianista privilegia la percussività e l’aspetto ritmico del pianoforte, ma con un tocco spesso e volentieri leggero, scomponendo i temi melodici in brevi frammenti che poi vengono iterati, variati con sicurezza e fantasia; basso e batteria, mai coperti dal piano, elaborano pattern vicini all’hip-hop e alla musica elettronica, con ostinati, secchi colpi di rullante e la flessibilità del jazz in filigrana. (Continua a leggere)
Il trio di Robert Glasper assieme a Vincente Archer (contrabbasso) e Damion Reid (batteria) era stato messo da parte da qualche anno, per la precisione dalla prima metà di ‘Double Booked’. (Continua a leggere)
Abbiamo già parlato del supergruppo Our Point Of View, una band di giovani jazzisti di talento messo assieme dalla Blue Note per celebrare il ragguardevole traguardo dei 75 anni di attività. Della partita Marcus Strickland (sax), Ambrose Akinmusire (tromba), Lionel Loueke (chitarra), Robert Glasper (piano), Derrick Hodge (basso) e Kendrick Scott (batteria), tutti parte della scuderia – il debutto su Blue Note di Strickland è atteso più avanti nel 2015. Se questa band inciderà pure un disco, magari un live, non è dato saperlo. Però possiamo ascoltare di cosa sono capaci grazie a questo freschissimo concerto newyorkese, trasmesso dalla benemerita radio NPR nel corso del suo programma Jazz Night In America.
Anche se, purtroppo, nessuno di noi è potuto andare a vedere l’esibizione milanese di Moran e Glasper, ci possiamo consolare con questo bel filmato. Una bella occasione per ammirare la grande intesa fra i due pianisti texani.
Abbiamo già parlato dei 75 anni della Blue Note e delle sacrosante celebrazioni per quella che è, nel cuore di molti, LA casa discografica jazz per antonomasia, per tutta una serie di motivi che sarebbe superfluo elencare. (Continua a leggere)
C’è chi preferisce la Verve, chi la Savoy, chi la Impulse e chi la ACT (tipo Martino Spreafico), ma se c’è una casa discografica che nell’immaginario comune è sinonimo di jazz, quella è la Blue Note. (Continua a leggere)
Questa volta a Glasper il gioco riesce meno bene del solito. L’obiettivo è lo stesso del fortunato ‘Black Radio’, che buoni consensi ha riscosso un anno e mezzo fa: aprire gli occhi del pubblico “casuale” sul jazz rendendoglielo sufficientemente digeribile e “pop” attraverso l’ibrido con la musica “urban” contemporanea (hip hop, neo-soul, R&B).
Il pianista texano prosegue dunque nel medesimo solco, sebbene il differente dosaggio degli ingredienti (l’importanza del jazz nell’equazione diminuisce un po’) evidenzi la volontà di raggiungere un successo crossover che farà forse storcere il naso ai puristi: a tratti sembra di ascoltare un disco R&B che punta ad atmosfere più rilassanti e meno danzerecce grazie all’innesto di qualche sfumatura jazz, ma questo, nonostante un ovvio calo di personalità, non è di certo il problema peggiore. (Continua a leggere)
Molti di voi, probabilmente, avranno conosciuto Jonathan Blake come batterista dell’eccellente quintetto di Tom Harrell, ruolo che ricopre ormai da diversi anni. Non solo, perché può vantare pure collaborazioni con Kenny Barron, David Sanchez, la Mingus Big Band e altri ancora, in una carriera che ha ormai superato i quindici anni. Può sorprendere che solo adesso arrivi il suo esordio da leader, intitolato non a caso ‘The Eleventh Hour’, un modo di dire traducibile come ‘quasi troppo tardi’. Jonathan ha formato un bel quintetto (Jaleel Shaw al contralto, Mark Turner al tenore, Kevin Hays al piano e Ben Street al basso) cui si aggiungono, di volta in volta, vari ospiti che forniscono un contributo molto azzeccato alle necessità del pezzo; il tutto nel segno di un linguaggio mainstream intelligente ed eclettico dal suono spesso arioso, pure nei momenti più energici. (Continua a leggere)
Tra i musicisti della nuova generazione Robert Glasper si è già a più riprese segnalato come uno dei più interessanti: pianista tanto innamorato dei suoni più straight ahead quanto della contaminazione “intelligente”. Già il precedente ‘Double Booked’ aveva tratteggiato le due “facce” del musicista, tenendole però ben distinte: c’erano i momenti puramente jazz e c’erano quelli più elaborati. ‘Black Radio’ è il passo successivo, l’amalgama: un caleidoscopio di influenze che vanno oltre la mera somma delle parti, figlie di un’opera di sintesi eccellente che non suona mai, proprio mai forzata.
In realtà sulla carta qualche dubbio potrebbe sorgere: il quartetto base (Glasper, il sassofonista Casey Benjamin, il bassista Derrick Hodge, il batterista Chris ‘Daddy’ Dave) è rimpolpato da un’infinita schiera di ospiti e tra i pezzi non originali figurano alcune scelte che potrebbero lasciare quantomeno perplessi. Basta un ascolto però per rendersi conto che mai come stavolta i pregiudizi non hanno ragion d’essere: tutti gli “intrusi” si mettono al servizio dei brani e ne diventano spesso il valore aggiunto, evitando che il tutto sembri una specie di compilation. E infatti l’atmosfera generale segue un discorso unitario che unisce jazz e hip hop, elettronica e R&B, funk e neo soul, privilegiando atmosfere “notturne” e rilassate. (Continua a leggere)