FREE FALL JAZZ

maestri's Articles

stanley-turrentineQuesto scritto è la bozza originale di un lungo articolo pubblicato su Musica Jazz di aprile dello scorso anno. Come negli altri casi di miei pezzi pubblicati sulla rivista, lo ripubblico su questo blog (in conformità agli accordi informali presi a suo tempo con la direzione della rivista), completato da  link discografici e musicali ove è stato possibile rintracciare tali informazioni in rete, permettendo perciò di ascoltare mentre si legge. Buona lettura

Riccardo Facchi

Per quanto work song, blues, negro-spiritual, gospel e quant’altro in ambito afro-americano siano stati storicamente riconosciuti come radici fondanti del jazz, l’utilizzo di successive fonti popolari da essi derivate e presenti in parallelo sin dal dopoguerra alla formazione di un moderno linguaggio jazzistico è spesso stato visto con sospetto e spiccato atteggiamento critico, per lo più dal cultore europeo del jazz. (Continua a leggere)

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 L’influenza di Wayne Shorter in veste di improvvisatore sulle più recenti generazioni di sassofonisti è vasta ed evidente. Il suono, il senso del ritmo, il fraseggio e la scelta delle note lo identificano facilmente e lo caratterizzano per originalità ed ingegno. (Continua a leggere)

Ricordo ancora come fosse ieri il mio primo acquisto di un suo LP, incuriosito dopo aver letto da buon neofita su “Jazz” di Polillo la sua monografia. Fui fortunato, perché trovai subito una edizione originale rara del concerto registrato alla Town Hall in trio con David Izenzon al basso e Charles Moffett alla batteria per la ESP, nel 1962, giusto prima del suo lungo ritiro dalle scene sino al 1965. (Continua a leggere)

All’inizio sembrava una bufala, ma poi la conferma è arrivata prima da musicisti come Christian McBride, e poi infine dal New York Times: Ornette Coleman è morto per un arresto cardiaco questa mattina, a Manhattan. (Continua a leggere)

Questo lungo e bellissimo articolo di Marco Bertoli ci è stato concesso dall’autore (e amico). Apparve su Musica Jazz nel 2008, in occasione dell’ottantesimo compleanno di questo grandissimo artista. Visto l’abbaglio di ieri, pubblichiamolo oggi!

«Horace Silver è quel genere di artigiano (craftsman) di cui il jazz, come ogni forma d’arte, ha necessità per sostenersi. Questi artigiani, si parli di Don Redman, di Fletcher Henderson, di Count Basie, di Roy Eldridge o di Horace Silver, sono comparsi al momento giusto per interpretare il loro ruolo cruciale nello sviluppo della musica. Certo, senza gli Armstrong e i Parker a rinnovare il linguaggio, e senza i Morton, gli Ellington e i Monk e conferirgli una sintesi con la loro attività di compositori, il jazz languirebbe. Ma senza artigiani di forte personalità e creativi come Horace Silver fra i suoi solisti e i suoi compositori, non esisterebbe un linguaggio comune da rinnovare e nessuna affermazione di materiali che possano essere oggetto di sintesi».(1) (Continua a leggere)