FREE FALL JAZZ

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Il dramma vero è che quest’anno non c’è in TV il capodanno con Gigi D’Alessio. La tristezza però passa in fretta, poiché su Italia1 ci saranno in sequenza i primi due film di Fantozzi, e quindi tutto sommato è un upgrade: non ce ne voglia il buon Gigi, ma il maestro Canello e Pasquale Coppola sono un’altra cosa. Un posticino per le tastierone anni ’80 del nostro Final Countdown, però, come di consueto c’è sempre. ‘And Then There Were Three’ cantava uno dei gruppi più amati dal nostro egregio Negrodeath, e quest’anno proprio in tre siamo rimasti a compilare questo piccolo riepilogo di fine anno. Free Fall Jazz, però, è l’unico posto in cui gli assenti non hanno mai torto, e quindi anche chi, per un motivo o l’altro, oggi è missing in action resta sempre una persona serissima e rispettabile, già lo sapete. (Continua a leggere)

Da quando siamo online (ormai tre anni e rotti, il tempo è volato!), questo è stato il Final Countdown più difficile da compilare. Non perché l’annata sia stata particolarmente negativa, anzi, pur non facendoci gridare al miracolo, abbiamo ascoltato diversi ottimi dischi, bensì per mere regioni tecnico/logistiche. Non starò qui a tediarvi con la storia della mia vita, ma sono nel mezzo di un trasloco (che si concluderà tra una settimana) e quando mi sono seduto al PC per compilare questo post ho scoperto che era appena avvenuto lo switch della connessione internet dal vecchio indirizzo a quello in cui mi trasferirò a breve, ecco quindi spiegato perché non le avete viste online già questa mattina. Ovviamente le poll seguono le nostre consuete “non regole”: minimo 5 massimo 12 preferenze, più nomination facoltative per i peggiori, le ristampe o quant’altro. Come sempre, chi non si è espresso (per scelta, per indigestione di panettoni e quant’altro) resta comunque parte della nostra scombinata famigliola di amanti del jazz.

L’analisi dei voti non lascia spazio quasi ad alcun dubbio: la “svolta ECM” di Vijay Iyer non è piaciuta quasi a  nessuno e lo sberleffo pubblico nasce soprattutto con la speranza di rivederlo presto con un disco che lo riqualifichi ai nostri occhi. Noi ci crediamo: d’altronde, se uno scivolone ci può anche stare, sembra assai più improbabile che uno dei migliori pianisti di nuova generazione si trasformi in un brocco da un anno all’altro. Chi invece trionfa nettamente è Steve Lehman, che fa cappotto e si becca cinque preferenze su cinque, confermandosi tra i migliori compositori attualmente in circolazione. Alle sue spalle si piazza un veterano ancora in formissima come Wadada Leo Smith, che si prende tre preferenze con l’ambizioso ‘The Great Lakes Suite’ e anche due con ‘Red Hill’, in comunione con Jamie Saft,  Joe Morris e Balázs Pándi. Tre preferenze anche per l’ottimo Orrin Evans, ormai una conferma più che una sorpresa. Il resto potete leggerlo qui sotto, tra un pandoro, uno spumante e un trenino al ritmo di Meu Amigo Charlie Brown (o del clamoroso Capodanno con Gigi tra poche ore in TV). All’anno prossimo! (Continua a leggere)

Anche stavolta salutiamo l’anno che se ne va citando quei cari capelloni svedesi le cui tastiere questa sera non mancheranno di strombazzare un po’ ovunque (ammesso che le tastiere possano “strombazzare”). E dunque rieccoci qui a celebrare chi si è distinto nel jazz dei 12 mesi appena trascorsi, non solo in campo strettamente musicale, ma anche “dall’altra parte della barricata”. Abbiamo infatti deciso di votare il miglior esperto/critico del settore, e, con un autentico plebiscito di voti, la palma se l’è aggiudicata ovviamente Renzo Arbore, uno che sa parlare della musica che ci piace senza mai cedere alla tentazione del revisionismo spicciolo. (Continua a leggere)

Le strizzate d’occhio tra musica jazz e cartoni animati sono qualcosa che parte molto da lontano: si pensi a Benny Goodman che partecipa alla colonna sonora del ‘Musica Maestro’ di Disney (1946) o a Louis Armstrong che, in carne ed ossa, introduce un episodio di Betty Boop (addirittura 1932). Noi, senza pretese esaustive (ci mancherebbe), vogliamo giocare “all’inverso” e, anzichè citare gli innumerevoli jazzisti che si sono prestati ai disegni animati, peschiamo tre cartoni che si sono prestati al jazz. Lo sappiamo, ci sarebbero anche gli Aristogatti: nulla contro di loro, anzi, ma sarebbe stata una scelta fin troppo ovvia. E poi ‘Tutti Quanti Voglion Fare Jazz’ ci ha abbondantemente scorticato le sfere del dragone. (Continua a leggere)

(Immagine pescata su www.eyeshotjazz.com)

E insomma, l’unica indecisione era se citare gli Europe o Coltrane per il titolo di questo post, col secondo di certo più in tema rispetto ai primi, il cui riff di tastierone anni ’80 siamo certi che questa sera farà capolino un po’ ovunque. Ovviamente per coerenza abbiamo scelto i primi (apro l’ombrello per ripararmi dalla pioggia di ortaggi). E se quella era l’indecisione, la certezza invece è che Ambrose Akinmusire è l’uomo del 2011: il suo ‘When The Heart Emerges Glistening‘ fa cappotto e si becca 5 preferenze su 5 mettendo d’accordo praticamente tutti, cosa non da poco. Nel caso non l’aveste capito, questo post chiude infatti l’anno rivelandovi quali sono stati i nostri ascolti preferiti tra i dischi usciti negli ultimi dodici mesi. (Continua a leggere)

Diciamola tutta: la mazza da baseball piuttosto che sulla copertina del disco andrebbe piantata sulla testa di Bill Evans, se fosse ancora vivo. Se non altro per aver generato una manica d’epigoni sospesi tra l’asettico e l’inetto, per non parlare poi della cappa d’intoccabilità che ne circonda oggi il nome andando ben oltre i suoi (pur innegabili) meriti. Pensando a un elenco dei cloni più spudorati ed irritanti dell’ex pianista di ‘Kind Of Blue’ però non è certo Alan Pasqua (che recensiamo quasi a Natale. Ok, avete ragione, non fa ridere) il primo a venire in mente, dato che il suo background consiste in qualche collaborazione con Bob Dylan, la partecipazione a un paio di dischi di Santana di cui nessuno si ricorda e, soprattutto, i Giant: se tra i lettori si nasconde qualche rockettaro cotonato pentito, di certo ricorderà i loro due ottimi album a cavallo tra fine ’80 e primi ’90. Il jazz nell’equazione entra dopo: dischi assieme a gente come Michael Brecker, Peter Erskine e via riccardoneggiando. (Continua a leggere)

Dopo la decade degli ’80 vissuta da Metal Queen, la popolarità della canadese Lee Aaron è colata a picco al volgere del nuovo decennio, e con lei quella di molte altre stelle del rock duro, ormai rimpiazzate da Seattle e dintorni. Sarebbe più che lecito chiedersi perché parliamo di tutto ciò in questa sede, e infatti sono ben pochi a conoscere il seguito della storia: dopo aver fondato i 2Precious, con i quali prova (senza successo) a cavalcare l’onda di popolarità del rock alternativo con un disco scialbetto (poi ristampato a suo nome), agli albori del nuovo millennio la nostra cambia di nuovo pelle, proponendosi, ebbene sì, in un contesto jazz. Facile che i maligni pensino all’ennesimo tentativo di risollevare una carriera ormai ristagnante (e in parte è senz’altro così), ma la svolta stupisce solo fino a un certo punto: i più attenti ricorderanno certamente come la Aaron, anche nei giorni a base di metallo e cotonature, non abbia mai fatto mistero di essere cresciuta ascoltando e cercando di emulare le grandi voci del jazz, una passione a quanto pare mai sopita. (Continua a leggere)