FREE FALL JAZZ

Molti anni fa, a New York, trovai nel menu di un ristorante una pagina dedicata al soul food. Naturalmente non sapevo cosa fosse, ma sulla carta quei piatti sembravano davvero appetitosi, così mi feci portare quel fantastico piatto di pigs feet che ricordo con piacere ancora oggi. Il soul food, l’avevo appena scoperto, era la buonissima cucina dei neri americani. Anni dopo, addentrandomi nel mondo del jazz, trovai molti riferimenti al soul food – nei titoli dei brani, nelle interviste, nelle biografie dei musicisti stessi. Non mi sembra, comunque, di aver mai letto di festival americani chiamati Pigs Feet & Jazz Fest, o che so, di Fathead Newman ad un eventuale Tortillas & Jazz di Austin (TX). Voglio dire, il jazz in America è cosa locale che si dà per scontata, il soul food pure, non c’è alcun bisogno di accoppiarli in rassegne. Al limite ti mangi il soul food o le enchillada al club, fine. Perché adesso sproloquiare sulla scoperta dell’acqua calda, direte voi. E’ che l’esimio collega Nico Toscani mi ha appena informato che la rassegna ‘Culatello & Jazz’ segna l’unione fra Parma e Piacenza, feat. i Vini del Poggiarello e, tempo permettendo, Eddie Enderson (sic) e Azar Lawrence che si esibiranno con “A Tribute To Lee Morgan”. E non mi sto inventando un cazzo. Il culatello è buono, nessuno ha niente contro. Pure Azar Lawrence e Eddie Henderson potranno farsene un’idea di persona, suonando di fronte al solito pubblico da rassegna enogastronomica fra cui forse si annidano uno o due appassionati sinceri di jazz, mentre tutti gli altri potranno dire di esser stati a sentire quel bel concertino alla rassegna culturale del culatello coi vini del Poggiarello dove c’han suonato quei simpatici negri con le trombette.

Meanwhile, on La7, fra i tanti ospiti del programma di Teresa Mannino, c’è pure Renzo Arbore, che ricorda alla siciliana Teresa che New Orleans era quella città molto eurofrancese culla del jazz dove c’erano un sacco di siciliani come lei, molti dei quali suonavano, e quindi la nascita del jazz la dobbiamo a loro e a Nick La Rocca: di quest’ultimo, con la Original Dixieland Jazz Band (che jazz non suonava, ma piuttosto musica da banda con effetti jazzistici posticci – ma non credo che Arbore sappia distinguere), la prima “incisione ufficiale di jazz”, quindi palla al centro e tutti a casa che il jazz è siculo quanto il marsala. Di nuovo, non mi sto inventando un cazzo. Non è la prima volta che Arbore va in giro a sparare queste stronzate, l’ha già fatto in uno speciale post-Uragano Katrina del TG: chissà se direbbe la stessa cosa in presenza di Archie Shepp o Wynton Marsalis, però. Il fatto che ad un simile cialtrone sia stato affidato uno speciale su Katrina nella New Orleans città del jazz, il ruolo di ambasciatore ufficioso massmediatico del jazz per gli italiani, e in passato persino quello di presentatore di festival, senza che mai nessuno gli abbia tirato un pomodoro per manifesta incompetenza, dovrebbe farvi pensare subito a Bill Cosby. Eh sì, Bill Cosby, un comico amatissimo e popolarissimo, che per trent’anni ha presentato il Playboy Jazz Festival, che ama questa musica e soprattutto la conosce sul serio e mai si sognerebbe di dire simili stronzate. Non si sente quel pochettino di differenza?

La conclusione? Il jazz per l’Italia è un contenitore stiracchiabile a seconda delle esigenze per vendere di tutto in cambio di una patina culturale a buon mercato e alla moda, dal culatello a vere e proprie bestialità sul jazz medesimo. Tra i due, certamente, meglio il culatello, ci mancherebbe. Ma non sperate che questa musica possa ottenere, qui da noi, chissà quali riconoscimenti. Non succederà. Trinceratevi dietro ai dischi e stringete i denti, che l’alternativa è la morte per travaso di bile.
(Negrodeath)

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