FREE FALL JAZZ

Nick La Rocca e Tony Soprano's Articles

Basta, non se ne può più. Mistificazioni sul jazz spacciate per autentica informazione culturale ormai se ne leggono in continuazione, ma quella faccenda che si protrae da sin troppo tempo di Nick La Rocca e la supposta primogenia italica del jazz, spacciata per fatto assodato, che va avanti da alcuni anni con la compiacenza di organi di stampa nazionali e del servizio pubblico televisivo, è davvero non tollerabile oltre, quanto per altri versi sintomatica dello stato di incultura musicale e jazzistica coltivata e raggiunta dal nostro paese. (Continua a leggere)


Riportiamo integralmente due commenti sulle ennesime sparate di Renzo Arbore, pronto ad andare in onda col suo documentario pieno di tesi false e superficiali.
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Ci risiamo. Il jazz l’hanno inventato i siciliani. Lo ripete per l’ennesima volta Renzo Arbore (e chi altro?), bello tronfio non solo per aver rappresentato l’Italia a New York nel mese della cultura italiana in America, ma anche perché ha prodotto un documentario (‘Da Palermo A New Orleans, e fu subito jazz’) per sostenere la solita stronzata: siccome l’Original Dixieland Jass Band ha fatto la prima incisione considerata jazz nel 1917, allora l’ha pure inventato. E di conseguenza, il jazz è roba di Sicilia. Una riprova? Francesco Cafiso che da buon siciliano ha il jazz nel dna perché suonava bene a quattordici anni. Siamo a livello “i negri hanno il ritmo nel sangue”, faccio notare. In più, Arbore riceverà presto la laurea honoris causa dal Berklee College Of Music (o meglio, dalla sezione italiana che dirige i seminari a Perugia, non dalla sede californiana) nel prossimo Umbria Jazz. Immagino sia per il quarantennale di Umbria Jazz, della cui Fondazione Arbore è attuale presidente. E in un festival jazz che ormai è un festival di musica pop con un po’ di jazz di contorno, in effetti, tutto torna: Arbore incarna perfettamente tutta questa cialtroneria diffusa. Ora vorrei tanto che qualcuno dal mondo del jazz strigliasse pubblicamente il simpatico guitto foggiano, come fece Uto Ughi con l’orrendo Giovanni Allevi. Ma si parla di jazz, non di musica classica; e il jazz è musica da aperitivi e degustazioni, robetta in fin dei conti, e quindi possiamo dire tutte le stronzate che vogliamo in libertà.

Molti anni fa, a New York, trovai nel menu di un ristorante una pagina dedicata al soul food. Naturalmente non sapevo cosa fosse, ma sulla carta quei piatti sembravano davvero appetitosi, così mi feci portare quel fantastico piatto di pigs feet che ricordo con piacere ancora oggi. Il soul food, l’avevo appena scoperto, era la buonissima cucina dei neri americani. Anni dopo, addentrandomi nel mondo del jazz, trovai molti riferimenti al soul food – nei titoli dei brani, nelle interviste, nelle biografie dei musicisti stessi. Non mi sembra, comunque, di aver mai letto di festival americani chiamati Pigs Feet & Jazz Fest, o che so, di Fathead Newman ad un eventuale Tortillas & Jazz di Austin (TX). Voglio dire, il jazz in America è cosa locale che si dà per scontata, il soul food pure, non c’è alcun bisogno di accoppiarli in rassegne. Al limite ti mangi il soul food o le enchillada al club, fine. Perché adesso sproloquiare sulla scoperta dell’acqua calda, direte voi. E’ che l’esimio collega Nico Toscani mi ha appena informato che la rassegna ‘Culatello & Jazz’ segna l’unione fra Parma e Piacenza, feat. i Vini del Poggiarello e, tempo permettendo, Eddie Enderson (sic) e Azar Lawrence che si esibiranno con “A Tribute To Lee Morgan”. E non mi sto inventando un cazzo. Il culatello è buono, nessuno ha niente contro. (Continua a leggere)