FREE FALL JAZZ

Dopo la decade degli ’80 vissuta da Metal Queen, la popolarità della canadese Lee Aaron è colata a picco al volgere del nuovo decennio, e con lei quella di molte altre stelle del rock duro, ormai rimpiazzate da Seattle e dintorni. Sarebbe più che lecito chiedersi perché parliamo di tutto ciò in questa sede, e infatti sono ben pochi a conoscere il seguito della storia: dopo aver fondato i 2Precious, con i quali prova (senza successo) a cavalcare l’onda di popolarità del rock alternativo con un disco scialbetto (poi ristampato a suo nome), agli albori del nuovo millennio la nostra cambia di nuovo pelle, proponendosi, ebbene sì, in un contesto jazz. Facile che i maligni pensino all’ennesimo tentativo di risollevare una carriera ormai ristagnante (e in parte è senz’altro così), ma la svolta stupisce solo fino a un certo punto: i più attenti ricorderanno certamente come la Aaron, anche nei giorni a base di metallo e cotonature, non abbia mai fatto mistero di essere cresciuta ascoltando e cercando di emulare le grandi voci del jazz, una passione a quanto pare mai sopita.

Una volta messo nel lettore ‘Slick Chick’ (2000, Barking Dog Music), malafede e facili ironie crollano come un castello di carte: il disco è una bomba. La Aaron si conferma in possesso di capacità vocali solide e si muove a suo agio sorniona tra le note di classici che negli anni abbiamo associato alle ugole storiche delle varie Dinah, Billie e Peggy. Proprio la selezione dei brani contribuisce in buona parte alla riuscita dell’operazione: snobbate quasi completamente le ballad, vengono privilegiati pezzi dallo swing irresistibile e blues dal passo frizzante, proposti per giunta da un poker di musicisti (basso, batteria, piano e sax) che stupisce per groove e coinvolgimento. In particolare spicca la verve dell’ottima pianista Jane Milliken (che insieme a Lee si occupa anche di tutti gli arrangiamenti) e, soprattutto,  la prova maiuscola del bassista Danny Parker (anch’egli un habitué della scena jazz della foglia d’acero): impossibile star fermi quando parte in quarta con le sue linee walking.  Provare per credere: da ‘He Ain’t Got Rhythm’ alla strepitosa ‘Why Don’t You Do Right’ passando per due ottimi originali (‘I’d Love To’ e ‘Chaser For The Blues’) che seguono il solco tracciato dai classici, neanche un istante di cedimento. Nulla di rivoluzionario o mai sentito, beninteso, ma non è certo l’innovazione a tutti i costi che si chiede a dischi del genere: ‘Slick Chick’ DIVERTE (maiuscolo), cos’altro pretendere?

Tutt’oggi Lee Aaron, tra un concerto di revival rockettaro e l’altro, prosegue con entusiasmo l’attività dal vivo in ambito jazz (corroborata nel 2004 da ‘Beautiful Things’, seconda prova su disco): trattarla con sufficienza o indifferenza solo per il suo passato sarebbe un crimine imperdonabile. Non dite che non vi ho avvisati. (Nico Toscani)

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