Coltivavo l’intenzione dichiarata di replicare il provocatorio Flop Jazz che aveva ottenuto un riscontro inaspettato di lettori a fine anno scorso, ma devo confessare che non è mia abitudine ascoltare volutamente musica mediocre con tale fine. Diciamo che capita di inciamparci, ma tendenzialmente preferisco occupare il tempo libero ascoltando musica valida, se non di pregio, pertanto non mi sono capitate molte occasioni per criticare in negativo ciò che ho ascoltato e nemmeno è detto che abbia poi voglia di scriverne. In molti casi non ne vale proprio la pena. Tuttavia, uno dei pochi dischi ascoltati in questo periodo che mi hanno deluso e stimolato alla scrittura è questo A Cosmic Rhythm with Each Stroke che mi appresto a commentare, ovviamente senza pretesa di avere verità rivelate in tasca. (Continua a leggere)
Il dramma vero è che quest’anno non c’è in TV il capodanno con Gigi D’Alessio. La tristezza però passa in fretta, poiché su Italia1 ci saranno in sequenza i primi due film di Fantozzi, e quindi tutto sommato è un upgrade: non ce ne voglia il buon Gigi, ma il maestro Canello e Pasquale Coppola sono un’altra cosa. Un posticino per le tastierone anni ’80 del nostro Final Countdown, però, come di consueto c’è sempre. ‘And Then There Were Three’ cantava uno dei gruppi più amati dal nostro egregio Negrodeath, e quest’anno proprio in tre siamo rimasti a compilare questo piccolo riepilogo di fine anno. Free Fall Jazz, però, è l’unico posto in cui gli assenti non hanno mai torto, e quindi anche chi, per un motivo o l’altro, oggi è missing in action resta sempre una persona serissima e rispettabile, già lo sapete. (Continua a leggere)
Gli Aggregate Prime sono la nuova band capitanata dal grande batterista Ralph Peterson. Della partita Gary Thomas (sax), Mark Whitfield (chitarra), Kenny Davis (basso) e Vijay Iyer (piano). La musica del gruppo pare estremamente interessante e ci occuperemo quanto prima dell’album d’esordio ‘Dream Deferred’, intanto ascoltiamoli dal vivo!
Non sappiamo di preciso a quando risalga questo concerto, azzardiamo la fine degli anni ’90 o l’inizio della decade successiva. In ogni caso, è molto interessante: oltre alla nutrita formazione di Steve Coleman (al piano un giovanissimo Vijay Iyer) troviamo pure il grande Sam Rivers, ospite dell’ultimo quarto d’ora. Maestri di generazioni differenti!
Vijay Iyer ha messo su pure un sestetto, che ci auguriamo di poter sentire prima o poi pure su disco. Assieme al pianista troviamo musicisti rinomati come Steve Lehman (contralto e soprano), Mark Shim (tenore), Harish Raghavan (contrabbasso), Graham Hayes (tromba e cornetta) e Tyshawn Sorey (batteria). Il risultato si inserisce in certa musica newyorkese aguzza ed intellettuale, ma non priva di fascino ed interesse.
Dopo l’orripilante ‘Mutations’ è naturale avvicinarsi con una certa apprensione al nuovo disco di Vijay Iyer su ECM. Apprensione in parte stemperata dal fatto che stavolta Stephen Crump e Marcus Gilmore sono di nuovo della partita, e soprattutto perché ‘Break Stuff’ è pure il titolo di una bella canzone dei Limp Bizkit. E in effetti possiamo tirare un bel sospiro di sollievo, perché il nuovo disco del trio esplora di nuovo materiale eterogeneo, con l’aspetto ritmico e ballabile (swing, latino, funk, hip-hop, rock e oltre) al centro. I tre scompongono i temi in particelle sempre più piccole, poi riassemblate e permutate in un eterno work-in-progress che non asseconda mai l’aspettativa dell’ascoltare. (Continua a leggere)
I Fieldwork sono un trio che schiera i talenti di Steve Lehman (sax), Vijay Iyer (piano) e Tyshawn Sorey (batteria). La loro musica è cerebrale e geometrica, ma non per questo priva di interesse, come possiamo ascoltare in questa ripresa di un’ora nell’angusto spazio dello Stone, spazio performance no-profit dell’underground newyorkese.
Abbandonando il formato piano trio (con il quale aveva registrato alcuni dei dischi più belli del jazz del nuovo millennio, ovvero ‘Historicity’ e ‘Accelerando‘), Vijay Iyer si reinventa compositore d’avanguardia per il suo debutto da leader per la ECM, intitolato ‘Mutations’ e pubblicato il 4 Marzo 2014.
Le differenze con gli ultimi lavori pubblicati per la ACT Music sono evidenti: Iyer rifiuta infatti la strumentazione ritmica classica (né basso né batteria sono presenti per tutta l’ora di durata del disco), circondandosi invece di un quartetto d’archi di evidente formazione accademica (due violini – Miranda Cuckson e Michi Wiancko; una viola – Kyle Armbrust; un violoncello – Kivie Cahn-Lipman) e instillando nelle sonorità acustiche del quintetto frammenti subliminali di musica elettronica, ricercando una dimensione cameristica della musica di Iyer. (Continua a leggere)
Questo è un piccolo post inutile e poco professionale, nonché strabordante di pregiudizio. Fatto sta che, alla notizia che Vijay Iyer avrebbe inciso su ECM, ho subito pensato a Craig Taborn. Non perché si assomiglino in qualcosa, a parte l’essere pianisti jazz. No. Perché Taborn, pianista brillante e originale, incidendo per ECM è diventato il solito musicista plin plin plin che incide per ECM. Questo, se la pensate come me, è un male. Tornando a Vijay, da questo link si può sentire un pezzo del nuovo album, ‘Mutations’. L’ho ascoltato più volte, sperando in una chiave di lettura alternativa, ma niente: sembrerebbe l’ennesima incarnazione del sound ECM. Bestemmie a piacere dopo il segnale acustico…
(Negrodeath)
Il 2013 sembra essere l’anno della consacrazione definitiva di Vijay Iyer, il magnifico pianista newyorkese che su queste web-pagine abbiamo sempre lodato. (Continua a leggere)