FREE FALL JAZZ

Rhythm Is A Dancer. Chi attualmente gira attorno alla trentina di certo ricorderà il tormentone eurodance degli Snap, che nella torrida estate di esattamente vent’anni fa si ascoltava ovunque. Non stiamo andando fuori tema, è che il titolo di quella canzone riassumerebbe alla perfezione gli intenti dietro il ritorno dell’ormai affermato Vijay Iyer. “Quest’album – svela tra le note di copertina il pianista newyorkese – segue la linea genealogica della più creativa musica americana basata sui ritmi ballabili”, spiegando il filo sottile che unisce i suoi originali a riletture pescate da repertori tanto distanti tra loro, che vanno dal sottovalutato pianista Herbie Nichols alla disco/funk degli Heatwave, passando per Michael Jackson e il genietto electro Flying Lotus.

Tanta varietà trova la sua coesione nella visione di fondo, che vede ogni brano condito da impressionanti “giochi” ritmici: praticamente tutti quelli immaginabili e anche di più (e non è un’iperbole). Rispetto al già ottimo predecessore ‘Historicity’ si cementa l’affiatamento tra il pianista e la sezione ritmca composta da Stephen Crump (basso) e Marcus Gilmore (batteria), permettendo di osare ulteriormente e spingere al limite le potenzialità di una formazione, il piano trio, spesso a torto ritenuta limitata e “poco creativa”. Ascoltare la title-track per credere: poco meno di tre minuti a base di ritmi nervosi e spiazzanti cambi di passo che rivoltano le carte in tavola ogni volta che pare si stia per arrivare da qualche parte. È solo la punta dell’iceberg, dato che più o meno tutto il disco viaggia su territori altrettanto avvincenti, partendo quasi in sordina per poi spingere gradualmente sull’acceleratore (appunto). In questo quadro trovano perfettamente posto persino due riletture come ‘Little Pocket Size Demons’, in origine dura sarabanda free jazz a base di fiati e chitarre elettriche firmata Threadgill, e ‘The Village Of The Virgins’, estratto da una lunga suite per orchestra jazz (‘The River’) composta da Ellington per accompagnare un balletto. Insomma, materiale non esattamente scritto su misura per un trio pianistico. Eppure Iyer e soci se ne appropriano come fosse la cosa più naturale del mondo, facendola sembrare semplicissima; basta vedere come proprio ‘The Village…’ riesca a rilassare i toni (pur con un piccolo, fragoroso climax centrale), trasformandosi nell’ideale conclusione di un disco che fino a quel momento, nella sua progressiva intensità, sembra non lasciare spazio per tirare il fiato.

Piaccia o meno, Vijay Iyer si conferma uno dei pochi nomi odierni in cui la voglia di tentare “un passo in avanti” non si traduce mai in esercizi fini a sé stessi o elucubrazioni eccessivamente pretenziose: di questi tempi è tantissimo. (Nico Toscani)

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