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ma l’ECM ha mica sede a Mordor?'s Articles

A volte mi domando cosa sarebbe successo alla Cappella Sistina se il Buonarroti nel ricevere l’incarico di ridipingerla avesse dovuto subire dal suo finanziatore, Papa Giulio II, serie ingerenze su come svolgerlo. Ben si sa che il mecenatismo ha avuto un ruolo decisivo nella produzione della grande arte rinascimentale e il paragone, apparentemente paradossale, mi è venuto in mente mentre ascoltavo questo disco ben suonato ma inaspettatamente noioso di Avishai Cohen, trombettista israeliano ma operativo a New York, giustamente tra i più acclamati sulla scena jazzistica contemporanea e recentemente approdato alla scuderia ECM di Manfred Eicher. Il noto produttore tedesco sembra infatti avere la capacità di far suonare qualsiasi musicista che ingaggi allo stesso modo, secondo una estetica che sembra richiedere al musicista di turno più o meno volutamente, o semplicemente in forma indotta (non saprei stabilire precisamente in questo caso), di conformarsi ad un “suono” ben preciso, proprio della linea che identifica da anni la casa discografica stessa. (Continua a leggere)

Dopo l’orripilante ‘Mutations’ è naturale avvicinarsi con una certa apprensione al nuovo disco di Vijay Iyer su ECM. Apprensione in parte stemperata dal fatto che stavolta Stephen Crump e Marcus Gilmore sono di nuovo della partita, e soprattutto perché ‘Break Stuff’ è pure il titolo di una bella canzone dei Limp Bizkit. E in effetti possiamo tirare un bel sospiro di sollievo, perché il nuovo disco del trio esplora di nuovo materiale eterogeneo, con l’aspetto ritmico e ballabile (swing, latino, funk, hip-hop, rock e oltre) al centro. I tre scompongono i temi in particelle sempre più piccole, poi riassemblate e permutate in un eterno work-in-progress che non asseconda mai l’aspettativa dell’ascoltare. (Continua a leggere)

Abbandonando il formato piano trio (con il quale aveva registrato alcuni dei dischi più belli del jazz del nuovo millennio, ovvero ‘Historicity’ e ‘Accelerando‘), Vijay Iyer si reinventa compositore d’avanguardia per il suo debutto da leader per la ECM, intitolato ‘Mutations’ e pubblicato il 4 Marzo 2014.

Le differenze con gli ultimi lavori pubblicati per la ACT Music sono evidenti: Iyer rifiuta infatti la strumentazione ritmica classica (né basso né batteria sono presenti per tutta l’ora di durata del disco), circondandosi invece di un quartetto d’archi di evidente formazione accademica (due violini – Miranda Cuckson e Michi Wiancko; una viola – Kyle Armbrust; un violoncello – Kivie Cahn-Lipman) e instillando nelle sonorità acustiche del quintetto frammenti subliminali di musica elettronica, ricercando una dimensione cameristica della musica di Iyer. (Continua a leggere)


Questo è un piccolo post inutile e poco professionale, nonché strabordante di pregiudizio. Fatto sta che, alla notizia che Vijay Iyer avrebbe inciso su ECM, ho subito pensato a Craig Taborn. Non perché si assomiglino in qualcosa, a parte l’essere pianisti jazz. No. Perché Taborn, pianista brillante e originale, incidendo per ECM è diventato il solito musicista plin plin plin che incide per ECM. Questo, se la pensate come me, è un male. Tornando a Vijay, da questo link si può sentire un pezzo del nuovo album, ‘Mutations’. L’ho ascoltato più volte, sperando in una chiave di lettura alternativa, ma niente: sembrerebbe l’ennesima incarnazione del sound ECM. Bestemmie a piacere dopo il segnale acustico…
(Negrodeath)

“Del maiale non si butta via niente” è la regola aurea della discografia. Ogni occasione è buona per immettere sul mercato materiale d’archivio dell’artista famoso e/o intoccabile, che può sempre contare su un pubblico fedele e numeroso. In quest’ottica rientra appieno pure ‘No End’, il nuovo-vecchio doppio album di Keith Jarrett, inciso nello studio domestico del musicista nel 1986 e subito accantonato. Il perché lo si intuisce presto: chiunque avrebbe potuto fare almeno altrettanto! La sola particolarità sta nel fatto che Jarrett non tocca quasi mai il piano, preferendogli chitarra elettrica (indiscussa protagonista), basso, tablas, batteria e flauto. Stilisticamente, e basta, siamo un po’ a cavallo fra il Pat Metheny di ‘Watercolors’ e certo Bill Frisell: blandi temi folk e orientali, questi ultimi soprattutto nel secondo cd, ruminati senza costrutto in venti brani tutti uguali. (Continua a leggere)

Il 2013 sembra essere l’anno della consacrazione definitiva di Vijay Iyer, il magnifico pianista newyorkese che su queste web-pagine abbiamo sempre lodato. (Continua a leggere)