FREE FALL JAZZ

Archive for " dicembre, 2013 "

Ok, si mangia e si beve e di dorme! E magari si ascolta qualcosina! Pensiamo di farvi gradito omaggio pubblicando l’album delle musica di Vince Guaraldi per il lungometraggio “Buon Natale Charlie Brown!” – del resto, a chi non piace Charles Schultz?


Mary Halvorson ha fatto molto parlare di sè, giustamente, negli ultimi anni, grazie al suo indiscutibile talento di chitarrista, compositrice e leader – un fatto che le permette di contare su un buon numero di musicisti fidati. ‘Illusionary Sea’ è solo un altro tassello nel mosaico dell’attività della Halvorson, casualmente quello più ambizioso visto che schiera un settetto: ovvero, il rodatissimo quintetto con l’aggiunta di un tenore (Ingrid Laubrock) e di un trombone (Jacob Garchick). Certo, sarebbe stato facile scrivere un disco stile “quintetto più ospiti”, ma la scrittura ambiziosa della chitarrista e la sua intesa coi musicisti scongiurano il pericolo di un disco di maniera. I tratti caratteristici ci sono tutti, uno in particolare: nonostante il curriculum e un approccio alla scrittura, in linea di massima, molto avanzato, la musica della Halvorson è sì cerebrale, ma anche accessibile a chi non abbia frequentato i corsi all’AACM. (Continua a leggere)

Il compleanno del grande McCoy Tyner è passato da poco. Noi lo festeggiamo un po’ in ritardo con questa bella esibizione a Norimberga del 1986, con Freddie Hubbard e Joe Henderson ospiti super-deluxe.


Foto: Elena Fiorini

Poteva un’illustre media jazzistico come Free Fall Jazz mancare alla prima assoluta della Wide Orchestra, soprattutto se a venti minuti da casa e per di più gratis? (Continua a leggere)


Riportiamo integralmente due commenti sulle ennesime sparate di Renzo Arbore, pronto ad andare in onda col suo documentario pieno di tesi false e superficiali.
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Questo lungo e bellissimo articolo di Marco Bertoli ci è stato concesso dall’autore (e amico). Apparve su Musica Jazz nel 2008, in occasione dell’ottantesimo compleanno di questo grandissimo artista. Visto l’abbaglio di ieri, pubblichiamolo oggi!

«Horace Silver è quel genere di artigiano (craftsman) di cui il jazz, come ogni forma d’arte, ha necessità per sostenersi. Questi artigiani, si parli di Don Redman, di Fletcher Henderson, di Count Basie, di Roy Eldridge o di Horace Silver, sono comparsi al momento giusto per interpretare il loro ruolo cruciale nello sviluppo della musica. Certo, senza gli Armstrong e i Parker a rinnovare il linguaggio, e senza i Morton, gli Ellington e i Monk e conferirgli una sintesi con la loro attività di compositori, il jazz languirebbe. Ma senza artigiani di forte personalità e creativi come Horace Silver fra i suoi solisti e i suoi compositori, non esisterebbe un linguaggio comune da rinnovare e nessuna affermazione di materiali che possano essere oggetto di sintesi».(1) (Continua a leggere)

Lo dice NPR, e ci rallegriamo. Non ci siamo cascati solo noi, però! In un bell’aggiornamento di domani, riparleremo del grand’uomo grazie all’intervento di un amico.

Poche persone come Horace Silver hanno incarnato quanto di buono, bello, giusto ci fosse nel jazz. E sebbene fosse inattivo da anni per motivi di salute, ci manca già terribilmente. (Continua a leggere)

Non sappiamo di preciso il locale nè la data di questo concerto di Ben Williams e dei suoi Sound Effect, ma sappiamo per certo che valga la pena ascoltarlo. Il brano è ‘Things Don’t Exist’, già presente nello splendido e per ora unico album del bassista.


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Una breve panoramica sulla carriera di Barry Altschul l’abbiamo offerta in un recente articolo su Sam Rivers, ma non è mai troppo tardi per render cronaca del suo recente ritorno da leader, risalente ormai a qualche mese fa, che ci ha regalato una delle uscite migliori dell’anno. A tener compagnia al batterista troviamo due amici dalla presenza fin troppo  ingombrante per limitarsi al ruolo di comprimari: il bassista Joe Fonda, che sia con l’archetto che col pizzicato si cala alla perfezione nei panni di Dave Holland, e il tenorista Jon Irabagon dei divertentissimi Mostly Other People Do The Killing, che in questa sede, oltre a portare in dote il suo tipico approccio senza fronzoli e ricco d’humour, sfoggia una versatilità altrove emersa solo a tratti.

Parlando di questo disco Altschul ha usato l’espressione “from ragtime to no time” (Continua a leggere)

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