FREE FALL JAZZ

Quella di Barry Altschul e Dave Holland è una sezione ritmica straordinaria, di certo in grado di competere ad armi pari con tante coppie più “famose”. Oggi forse è meno celebrata del dovuto: aver legato il proprio nome soprattutto a formazioni di impostazione free jazz si è rivelato un grosso equivoco, a ben vedere. Altschul e Holland restano troppo grandi per poter essere incasellati in una sola nicchia, e infatti a cavallo tra ’60 e ‘70 sia in compagnia di Paul Bley (solo il batterista) che di Braxton o Corea (nel breve periodo in cui quest’ultimo formò i Circle, formazione con cui tentò di esplorare territori più o meno avanguardistici prima della ben più nota svolta fusion) hanno comunque dimostrato una versatilità che lasciava trasparire una conoscenza del panorama jazzistico a 360 gradi. In particolare il batterista, il cui tocco, volendo cedere al più noto dei luoghi comuni, tradisce uno swing, un senso del ritmo così prorompente da farci dubitare della sua epidermide candida; si tratta di una qualità ben sfoggiata anche nella manciata di dischi che ha prodotto da leader, tra cui vale la pena segnalare ‘You Can’t Name Your Own Tune’, micidiale hard bop dalle sfumature free che pure ci premureremo di riproporvi.

L’unione di Altschul e Holland con Sam Rivers sembra un matrimonio di quelli fatti in paradiso: partito dall’hard bop, quest’ultimo trovò nei due soci un terreno fertilissimo su cui “coltivare” le influenze più disparate che aveva iniziato ad assorbire, frutto anche della sua esperienza con la gestione (in comunione con la moglie Bea) dello Studio Rivbea, uno dei più noti jazz loft newyorkesi. Il trio si esibì in numerosi concerti negli anni ’70, ma in studio è stato registrato pochissimo: due soli vinili prodotti in Europa rappresentano l’unico lascito. Il primo, ‘ The Quest’, inciso a Milano e pubblicato dalla nostrana Red Records nel 1976; l’altro, ‘Paragon’, inciso un anno dopo a Parigi per la meteora Fluid (leggendaria etichetta francese autrice di una manciata di album sul finire dei ’70 prima di sparire nell’oblio: oltre a Rivers, materiale di Max Roach e Archie Shepp).

‘The Quest’, che abbiamo scelto per il nostro ripescaggio, è interessante perché cerca di riprodurre in studio la formula adoperata dal trio nel corso delle esibizioni di quegli anni, le quali si svolgevano attraverso lunghi brani improvvisati in cui il leader si alternava a quattro differenti strumenti: sax tenore, flauto, pianoforte e sax soprano. E proprio quattro sono i brani incisi in studio in quel Marzo del ’76, ognuno costruito attorno a uno degli strumenti suonati da Rivers, il cui approccio all’improvvisazione è personalissimo e pregno dei molteplici ascendenti: mai gratuito, mai fine a sé stesso. Stilisticamente si passa all’interno di uno stesso brano da sezioni “frastagliate” tipicamente free a fraseggi più melodici e coinvolgenti, finanche a sfumature dal sentore vagamente etnico (in particolare in ‘Vision’, dove il flauto è lo strumento prescelto). La parte del leone però non è solo dell’eclettico polistrumentista: i meriti vanno davvero divisi in egual misura con Altschul e Holland (quest’ultimo notevole anche con l’archetto), capaci di inferire alle improvvisazioni sterzate avvincenti grazie a un groove potente e trascinante che in dischi del genere è tutt’altro che scontato (si veda il notevole crescendo di ‘Expectation’). In sintesi, una pagina poco nota nella storia di un musicista dalle mille sfaccettature che meriterebbe di essere riscoperta.

Venendo infine alla reperibilità: con un po’ di fortuna (ma neanche troppa) è possibile rinvenire nell’usato sia la stampa originale su Red del 1976, che la ristampa di un anno successiva (con copertina diversa) per Pausa Records. Una terza ristampa (sempre in vinile) è uscita poi in edizione da edicola per la collana “I Grandi Del Jazz” di Fabbri Editori. In CD, invece, non esistono edizioni. Per chi si accontenta, va in ultimo segnalata una versione digitale (in vendita sui principali store online), ma a quanto pare si tratta di MP3 trasposti direttamente da una copia in vinile dell’album piuttosto che dai master originali, a questo punto suppongo irreperibili.

Altschul, Holland e Rivers faranno in tempo a riunirsi sul palco nel 2007: l’incontro frutterà ‘Reunion’ (2012, Pi Recordings), ottimo disco dal vivo pubblicato postumo a circa un anno dalla scomparsa del sassofonista.  (Nico Toscani)

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