FREE FALL JAZZ

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Paolo Fresu (tromba, flicorno ed effetti), Steven Bernstein (tromba a coulisse), Gianluca Petrella (trombone) e Marcus Rojas (tuba): quello che si intende un SUPERGRUPPO, del quale, a mia conoscenza, esiste solo una registrazione di un concerto effettuato come première a Camerino nel 2010 (questo il link), quindi risalente a quasi tre anni fa. L’idea del gruppo di soli fiati nasce a Bolzano nel 2009, dove Fresu, Petrella e Bernstein suonano nel festival in formazioni diverse; a loro si affianca the “Phenomenal tubist (New Yorker)” Marcus Rojas. L’idea di base era coniugare le varie personalità con intenti musicali capaci di coinvolgere poesia, humor e ritmi travolgenti. (Continua a leggere)

Ebbene sì: non ero mai riuscito a vedere Brötzmann da vivo! Nonostante i numerosi dischi ascoltati, l’approccio live mi mancava. E cosa emerge da questo concerto? Sicuramente il flusso sonoro, direi quasi granitico, è la sua caratteristica conosciuta fin dall’inizio della carriera; ‘Machine Gun’ (1968) ne è l’esempio lampante, ma attualmente viene integrato ad un lirismo sconosciuto. Sicuramente il background culturale, e aggiungiamo anche una maturazione anagrafica, riescono a creare un sound che va al di là di un free “soffiato e urlato”. Se l’esempio di ‘Machine Gun’ poteva risultare certe volte irritante, il set al Teatro Fondamenta Nuove è scivolato con una naturalezza impensabile.  La potenza del suono, o di fuoco, è sempre al massimo, ma all’interno si colgono sequenze espressive che riempiono spazi e vuoti in maniera magistrale, arrivando anche a momenti molto riflessivi ed intimistici. (Continua a leggere)

Fine anni ’70, la Sala Bossi a Bologna, luogo culto della musica “seria”, un manipolo di musicisti (e goliardi?) tra cui Edoardo “Dado” Ricci, Stefano Bartolini (ambedue continuatori del NEEM – Nuove Esperienze di Eresia Musicale), Riccardo Fassi (questa la sua prima registrazione), Filippo Monico, Paolino Della Porta e Roberto Del Piano (al sax tenore e soprano …ma va?), una registrazione quasi interamente dal vivo (!) e un’etichetta alternativa (la Materiale Sonori: come poteva non esserlo?). Frullate tutto, aggiungetevi un po’ di Art Ensemble Of Chicago, testi dadaisti, Jingle pubblicitari, ritornelli ironici, musica bandistica (dovuta forse alla presenza di musicisti non prof) e forse capirete che sonorità escono. Ma non basta, perchè NEEM non era solo un gruppo da ascoltare, ma anche da vedere, d’altronde la presenza sulla copertina della scritta “TEA TRAZZ” (che starebbe per “teatro jazz”), qualche indicazione pur la dava! Sul palco poi, stando alle parole di Roberto Del Piano – che ringrazio di avermi inviato i file di questo introvabile vinile – c’erano anche giocolieri, mangiafuoco… (Continua a leggere)


“Quale musica può rappresentare il mondo contemporaneo? Senza dubbio dovrebbe essere una musica moderna, una musica che affonda le sue radici nella realtà quotidiana, che rende conto dei rivolgimenti sociali e del fatto che la gran massa del pubblico non sa che farsene della musica. Nello stesso tempo dovrebbe anche — come ogni verità — avere qualcosa di sensazionale, e a tal fine basterebbe che questa musica non fosse falsa, come lo è invece quella che circola ora nella vita culturale, che impone al pubblico falsi sentimenti e relazioni, e costituisce un perenne ostacolo ai rapporti fra l’uomo e il suo tempo”. (Fred K. Prieberg, Musica Ex Machina, Berlino, 1960)

Questa domanda, posta all’apertura del sito di Setola di Maiale, è anche parte del manifesto estetico di Stefano Giust e Paolo De Piaggi, menti dell’etichetta nata nel 1993 dalla loro necessità di creare musica non vincolata alle logiche di mercato, nonché per dare la possibilità ad artisti al di fuori del circuito “istituzionale” della musica di dare corpo alle proprie ricerche non disperdendo il lavoro fatto. Eh sì, perché Setola non riguarda solo i musicisti di estrazione prevalentemente jazzistica, ma anche della musica contemporanea nell’accezione più ampia del termine, come evidenziato nella pagina web di apertura: musica improvvisata, sperimentale, elettronica. Mi viene in mente solo un’altra etichetta che, coraggiosamente, negli anni ’70 propose un catalogo così impegnativo: la ICTUS di Andrea Centazzo. (Continua a leggere)

Rinasce dopo ben 24 anni questo disco, ora ristampato in CD e passato a suo tempo, ingiustamente, inosservato. Si tratta di una registrazione prodotta da Roberto Zorzi (non è un mio parente!!!), chitarrista e direttore artistico di quello che era un valente Festival: Verona Jazz. L’idea era nata come occasione di incontro per “fare nascere qualcosa” in un momento forse di stanca della musica jazz. Certo che, con musicisti del genere, le premesse erano sicuramente ottime: il trombone di Albert Mangelsdorff, il sax soprano di Roberto Ottaviano, il piano di Franco D’Andrea, il cello di Ernst Reijseger, le percussioni di Trilok Gurtu, il basso di Paolo Damiani, le chitarre di Roberto Zorzi e Riccardo Bianchi e la batteria di Alberto Olivieri (altro produttore) avevano tutte le prerogative di far “succedere” qualcosa. Fanno sorridere un po’ le note di copertina di Franco Fayenz riguardo la mancanza di fantasia e coraggio da parte degli organizzatori di Festival per proporre novità come questa, che registrò senza neanche un concerto: e pensare che si parla del 1989! (Continua a leggere)

Dopo la non convincente apparizione dell’altra estate al Festival di Saalfelden (vedi articolo) ho preso un po’ con le pinze questo concerto. E invece, cambiando leggermente personale (al posto di Francesco Ponticelli al basso un ben più consistente Thomas Morgan) e suonando in tour, la formazione è diventata molto più coesa. Di questa cosa ne ho anche parlato con Giovanni stesso, che ne era consapevole. Quello che lamentavo del concerto in Austria era la mancanza di progettualità e di leadership, cosa che invece a Mestre si è creata, anche se ce n’è ancora di strada da farne. (Continua a leggere)

Nella bella collocazione di Villa Leoni, torna, con tutte le difficoltà del caso, JAM – Jazz a Mira, oltre che con i concerti, anche con attività collaterali come la bella mostra fotografica di Luca D’Agostino, dibattiti sul futuro di questa musica (particolarmente interessante quello su SIAE, Enpals, ecc…) e inoltre una rassegna “collegata”,  quella sui vini, che sta diventando un po’ un trait d’union con il jazz. Nicola Fazzini ha avuto il merito di una ottima organizzazione (supportato dalla scuola di Musica Thelonious Monk, dall’associazione Keptorchestra e da Radio Ca Foscari), ma soprattutto di invitare il Trio di Steve Lehman, di passaggio in Italia. La presenza del compositore e sassofonista nuovaiorchese al Teatro Villa Dei Leoni ci permette di avere un’immagine dell’attività musicale della sua città. (Continua a leggere)

Dietro il nome di questo quartetto si cela l’inconfondibile Guido Mazzon. Per i più giovani, ma anche no, basti sapere che Guido è stato uno dei musicisti più in vista di una stagione indimenticabile per la musica creativa e di avanguardia: gli anni ’70. Prima con il suo Gruppo Contemporaneo, poi in solo, quindi in duetti con Andrea Centazzo e Mario Schiano, i concerti alla Statale ecc. Eh già, forse io sono un nostalgico, “noi credevamo e crediamo ancora”* – una citazione… Ok, si vede che sono proprio un nostalgico!!! –  ma quella della fine dei ’70 fu proprio una stagione incredibile. Le basi della nuova musica di ricerca partono proprio da lì, ma, tranne un bel ricordo di Angelo Olivieri verso la musica di Mario Schiano, pochi se ne ricordano. Guido, come molti altri, purtroppo è stato lasciato in un angolo, anche se la sua presenza in registrazioni importanti, vedi con l’Instabile Orchestra o con l’ottima Invasion Orchestra di Andrea Centazzo, è ancora di rilievo. (Continua a leggere)

Ecco uno di quei concerti che fanno discutere gli appassionati alla fine dell’esibizione: siamo in presenza di un genio o di un bluff??? Qualcuno forse obietterà fortemente, ma la vivacità della musica è anche questo. L’interesse dopo aver ascoltato i suoi lavori in solo era soprattutto per l’uso del sax basso. La capacità strumentale di Colin di trarre da uno strumento impegnativo (soprattutto dal punto di vista fisico) come quello l’originalità di musiche dal forte impatto emozionale è grandiosa, ma la mancanza di temi alla fine porta forse ad una stanchezza nell’ascolto. Nonostante il mio interesse fosse portato appunto verso il sax basso, l’utilizzo del sax alto, di contro, mi è parso più interessante, in quanto ho apprezzato meglio le variazioni microtonali che utilizzava. (Continua a leggere)

Questo trio (Battista Lena, chitarra; Enzo Pietropaoli, basso; Fulvio Sigurtà, tromba e flicorno) mi riporta indietro negli anni. Come nota anche lo stesso Pietropaoli, studiando il passato si impara per il futuro. E infatti la grande rilassatezza delle musiche eseguite riporta alla mente, almeno nel mio immaginario personale, dovuto forse a libri e film letti e visti, locali fumosi ma tranquilli di qualche “cave” parigina. La mancanza della batteria contribuisce a questa sensazione di rilassatezza, e ciò determina anche il titolo del CD (anzi, del SuperAudioCd, realizzato  a Volterra con tecniche di registrazione notevoli). Ma quello che si ascolta non è un classico disco di “intrattenimento” serale in compagnia di una bella donna, tutt’altro. Il riferimento di partenza è sicuramente una di quelle formazioni di Chet Baker “drumless”, anche se qui manca la drammaticità dello stesso Chet, ma la ricerca delle sonorità che realizza il trio produce un risultato molto personale. Questo sicuramente dovuto alle capacità dei singoli musicisti, ognuno campione del proprio strumento, anche se  personalmente preferisco Sigurtà alla tromba piuttosto che al flicorno. (Continua a leggere)

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